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Il disagio degli esterni (1997)

Contributo in vista di un’Assemblea del CSOA il Molino (al Maglio) sulle relazioni tra il Centro e l'esterno

Noterelle in vista della prossima giornata di discussione

Non voglio addentrarmi nei molti problemi grandi e piccoli della vita al Mulino/Maglio: altri li conoscono molto meglio di me. Salteranno fuori senz'altro prima e durante la discussione. Del resto già il 14 settembre erano usciti molti punti problematici.

Vorrei invece tentare di far capire alcuni possibili problemi relazionali tra il centro e l'«esterno» (intendo quell'esterno che simpatizza). Pur seguendo da vicino l'esperienza da molti mesi, non vivo al centro, e neppure vivo molto il centro. Quindi forse riesco a immaginare meglio la percezione che può avere un esterno che ci entra in contatto più o meno occasionalmente.

Parto da alcune storielle, assolutamente vere o assolutamente probabili (un paio le ho già raccontate in assemblea):

  • una persona viene invitata a tenere una conferenza, accetta ma poi non sente più nulla. Per scrupolo telefona il giorno della conferenza e gli viene detto che tutto è caduto (per buoni motivi, ma questo è un altro discorso). Nessuno le aveva telefonato.
  • per la festa dell'anniversario si annuncia, anche sui giornali, che ci saranno pranzo e cena. Non c'è molta gente, e pertanto quella poca meriterebbe particolare attenzione. La pasta viene servita alle 15.10. Qualcuno finisce magari per incazzarsi. A maggior ragione se per disperazione ha mangiato al Jumbo.
  • una persona viene invitata per una serata. Arriva al maglio in orario ma la persona che ha combinato l'incontro non c'è. Nessuno lo caga (l'ospite). Quando comincerà l'incontro? dove? Da qualche parte, certo. Con almeno un'ora di ritardo. Questo è sicuro.
  • si annuncia un'assemblea straordinaria per, mettiamo, mercoledì. Uno fa di tutto per esserci, quel mercoledì, ma l'assemblea non c'è. Oppure si fissa una riunione per le 21.00. Verso le 22.30 si riesce a tirare assieme una parte dei presunti partecipanti. (Cose, queste, che ho vissuto più volte personalmente).
  • ci si lamenta perché il Comitato di sostegno all'autogestione non fa granché di concreto (il che in parte è vero). Ma quando si convoca una riunione per preparare la manifestazione contro il razzismo, quel comitato non viene neppure contattato. Né gli si manda regolarmente quanto viene prodotto, e neppure il giornale (anche se tra le sue finalità c’è la messa in circolazione - a proprie spese - di materiali e informazioni relativi all’autogestione).

Bastino queste, di storielle. Adesso cerco di arrivare a qualche conclusione.

1. La vita all'interno del centro ha ritmi suoi. Molti membri della comunità non hanno un lavoro, sono qui tutto il tempo, e buona parte di quel tempo lo dedicano al centro. Ritardi, riunioni cadute, rinvii, non contano granché. Se non è oggi è domani, se non è alle 9 è alle 11. In sé è anche una libertà affascinante, questa dell'autogestione senza orari, dell'organizzazione alla giornata, o all'ora. Dove il biliardo può improvvsamente sostituirsi alla riunione programmata. Tuttavia non per tutti è così facile. C'è chi lavora tutti i giorni. C'è chi lavora anche la sera. C'è chi deve alzarsi presto. C'è chi ha anche altri impegni non professionali (politici o, perché no?, personali). C'è chi ha famiglia. C'è chi, insomma non ha tutto il tempo che ci vuole per fare qualsiasi cosa al centro. Che quando si prende del tempo lo fa con difficoltà. Lo si può anche compiangere, questo borghesuccio con casa, lavoro, famiglia eccetera. Ma forse sarebbe più giusto avere almeno un po' di comprensione per i suoi vincoli. La conclusione non è che si deve diventare organizzati come una banca. Semplicemente si potrebbe tener conto anche dei problemi degli altri nel modo di organizzarsi. In fondo è questione di rispetto.

2. Soprattutto nei confronti degli ospiti occasionali bisognerebbe curare meglio i contatti e l'accoglienza. Se gli «esterni» che frequentano regolarmente il centro si abituano (anche con molta comprensione) a un certo malandazzo, qualcuno potrebbe invece portarsi dietro un'immagine troppo ingiustamente negativa. E diffonderla. Anche curare meglio i rapporti con le persone fa parte dell'autodifesa del centro.

Non bisogna poi dimenticare che chi si presta a fare qualcosa qui (una conferenza, una lettura, un concerto...) oltre che dimostrare concretamente il suo appoggio, investe spesso tempo e lavoro, non solo per quella serata ma anche per pensarla, per prepararla. Anche qui è questione di rispetto. 

3. Lo stesso vale per i gruppi, le associazioni. C'è la tendenza a usarli quando servono (vedi il Movimento contro il razzismo e la xenofobia) ma poi non si fanno molti sforzi per mantenere contatti regolari, per dare continuità a qualcosa. E' vero che anche i vari gruppi non si sforzano molto di stabilire contatti duraturi e di frequentare il centro, ma questa non può essere una scusante. Ho spesso l'impressione che si pensi al Molino non solo come a un centro sociale, ma come al centro del mondo. Forse non è così.

In ogni caso con veri rapporti di collaborazione l'autogestione potrebbe essere più forte.

Danilo

19 ottobre 1997

autogestione, Molino, 1997

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