Storia e militanza: trasporti e altro (2015)
– contributo a una pubblicazione per i 50 anni della Fondazione Pellegrini Canevascini –
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"Piccole storie" sono in generale testi storici brevi dal tono piuttosto divulgativo e narrativo che affrontano vicende circoscritte, magari legate a singole persone – come la diserzione dei fratelli Berthalon o l’incredibile storia di Craigh Shergold. Vi compaiono anche due personaggi di cui mi sono occupato parecchio: Mosè Bertoni e Guido Rivoir.
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Nel 1963 molti notabili liberali ticinesi hanno partecipato a una manifestazione di condanna per l'uccisione di un sindacalista in un regime dittatoriale. Lo farebbero oggi i politici PLR? -
(Articolo apparso su Naufraghi/e il 10 luglio 2024: https://naufraghi.ch/tra-piroette-scolastiche-e-dignita-passata/)
Nel giorno in cui Adolfo Tomasini ha pubblicato su Naufraghi/e l’articolo Scusate, sulla scuola abbiamo cambiato idea (liberale), ho ricevuto – destinato agli archivi di storia sociale della Fondazione Pellegrini Canevascini – un incarto relativo a una pubblica manifestazione tenutasi a Lugano il 24 aprile 1963 per protestare contro l’esecuzione di Julián Grimau. Solo quattro giorni prima Grimau, sindacalista comunista, era stato fucilato in Spagna dal regime franchista, prendendo a pretesto la sua attività in seno alla polizia repubblicana nel periodo della Guerra civile spagnola. La lettura, nella stessa giornata, dell’articolo di Tomasini e di queste carte ha prodotto nella mia testa un cortocircuito: le due cose, apparentemente così lontane, in qualche modo si toccavano producendo scintille sulle scorie odierne del liberalismo che fu. Tomasini osservava che le posizioni cavalcate ora in materia scolastica dal PLR (nazionale e di riflesso anche cantonale) sono la negazione di quella scuola che gli stessi liberali, insieme ai socialisti, hanno costruito nei decenni, almeno in Ticino. Uno stravolgimento dei principi ideali su cui quella scuola si è fondata (e in base ai quali bene o male ancora cerca di muoversi).
Sfogliando le adesioni illustri alla manifestazione in onore di Julián Grimau – promossa e coordinata dal socialista Edgardo Bernasconi – ho visto sfilare, accanto a rappresentanti di altre correnti politiche, il fior fiore del liberalismo ticinese dell’epoca: Franco Zorzi, Carlo Speziali («Grimau rimarrà come luce di libertà nell’attuale disonorata Spagna»), Massimo Pini, Luciano Giudici (a nome dei giovani liberali radicali), Luigi Salvadé e Guido Marazzi per i Sindacati indipendenti ticinesi (liberali), addirittura il tutt’altro che radicale Franco Masoni (“l’imperdonabile delitto che ha colpito in Julián Grimau García la giustizia, la libertà, l’umanità e la vita…»). Libero Olgiati, presidente PLRT, esprimeva anche a nome del partito «indignazione, denunciata dalla coscienza del mondo civile, per il nuovo crimine perpetrato dalla dittatura franchista. La morte del sindacalista spagnolo – continuava Olgiati – ci riguarda tutti, perché nella grande lotta per la libertà Grimau ha scritto il suo nome cadendo per una causa che onora la civiltà e per la quale muoiono centinaia di altri uomini senza distinzione di fede o Partito». A dirigere la giornata di protesta, Pino Bernasconi, presidente del Convegno mazziniano di Lugano e pure appartenente a quell’area politica. E a parlare con trasporto in prima pagina di quel «comizio popolare», il quotidiano politico liberale-radicale «Gazzetta Ticinese».
Dov’è, o meglio, com’è oggi quel partito? A che manifestazione ancorata a questi principi parteciperebbe? Per cosa si mobilita? Che voce innalza di fronte ai soprusi, vicini e lontani, che ci circondano? O di fronte all’incultura politica imperante? È immaginabile oggi che l’intero gotha del PLR si esponga coralmente per qualche nobile causa priva di ricadute elettorali? Le voci riconducibili a quell’area che continuano a farsi sentire su questo terreno – penso ad Andrea Ghiringhelli, a Paolo Bernasconi (figlio di quel Pino) e pochi altri – lo fanno per lo più in posizione marginale, da battitori liberi. Per il resto: poteri da confermare, scranni da difendere, voti da spostare, posti da occupare, opportunità da cogliere, treni su cui salire frettolosamente, come quello della nuova battaglia per una scuola meno inclusiva. (E mettiamoci anche il trionfo della parte più malsana del DNA liberale, quella liberista: ed ecco sgravi fiscali, glorificazione del fantasmatico sgocciolamento, eccetera).
Poveri liberali!, verrebbe da concludere. Ma bisogna relativizzare un po’ il giudizio, per tre motivi almeno. Se i rappresentanti politici liberali di oggi non sono all’altezza – culturale e politica – dei loro predecessori, il presente in cui viviamo, con tutti i suoi bei problemi irrisolti e urgenti, è pur sempre figlio del mito della crescita economica proprio dell’ideologia liberale (mito a lungo incontestato, da destra a sinistra): non è che ci siano santi da celebrare. Poi non è che mancassero, sessant’anni fa, ossessione elettoralistica e gestione tronfia del potere – c’erano, eccome! – ma si accompagnavano pur sempre a momenti di gratuito slancio ideale come questo del 1963 (e a una visione del mondo non ridotta a nudo credo economico). E infine i liberali non sono soli in questa loro deriva: anche altri partiti si muovono oggi sempre più “pragmaticamente”, e con personale politico non sempre passabile, badando essenzialmente a massimizzare i voti tramite un’azione politica di corto respiro (con scivolamento a destra di voti e partiti). Invece di “poveri liberali!” dobbiamo allora dire “poveri noi!”.
Danilo Baratti
liberali, GuerradiSpagna, Naufraghi, 2024
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