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Qualche domanda sul "Plan B" (2023)

Intervento letto in Consiglio comunale nella "discussione generale" del 6 febbraio 2023

Non ho uno smartphone, compro i biglietti ferroviari cartacei alla stazione (perché mi sono dati gentilmente da mano umana), non faccio pagamenti elettronici. E non partecipo a giochi d’azzardo da almeno 45 anni (negli anni Settanta mi era capitato di giocare un paio di volte al lotto). Questo può dare un’idea della mia distanza esistenziale dal tema di questa sera. Per certi versi le mie sono dunque le riflessioni di un ignorante, quasi di un marziano. Non conoscere più di tanto la natura delle criptovalute e la tecnologia blockchain, sulle quali del resto non mi addentrerò, non impedisce tuttavia di porsi qualche interrogativo magari sensato. Del resto ho pur letto, in questi mesi, le perplessità e gli allarmi di persone ben più autorevoli di me in campo economico e giuridico. Inoltre nel movimento verde ci sono tante e tanti giovani, delle cosiddette generazioni X e Y, e nemmeno tra loro si percepisce entusiasmo per questo "Plan B", benché si dia per scontato che proprio quelle generazioni siano ansiose di cimentarsi nel mondo crypto.

Comincio con una riflessione di fondo sul nostro ruolo, di noi seduti qui in questo piccolo parlamento. Tutta questa operazione è stata presentata come una scelta strategica, una grande opportunità per il futuro di Lugano, per la sua collocazione nel mondo, o almeno in Europa. Il Consiglio comunale – che deve dire la sua, e giustamente, su un credito supplementare di 115 mila franchi per rendere carrozzabile un tratto pedonale – non è consultato su una scelta strategica e impegnativa come questa. E nemmeno su un passo, che potremmo chiamare di politica estera, come l’accordo con il Salvador. Il grado di informazione che riceviamo “di default” – fatte salve le risposte sollecitate da interrogazioni e interpellanze – è quello dei comunicati stampa del Municipio. Mi pare che ci sia un problema, non tanto o non solo nell’atteggiamento del Municipio ma nelle competenze che il regolamento comunale e la LOC attribuiscono al Consiglio comunale. Il Consiglio federale deve fare i conti con due commissioni degli esteri ma il Municipio può tranquillamente sabilire accordi impegnativi a livello di immagine con uno stato problematico come il Salvador – ci torno dopo – senza nemmeno dovere un’informazione preventiva al legislativo. È previsto così, funziona così. Eppure non dovrebbe.

Ma entriamo un po’ nel merito di alcuni dubbi sollevati da questa operazione, in parte già richiamati da chi mi ha preceduto. Riguardano i partner, e in primo luogo Tether. Anche se il Municipio ha tentato di rassicurare i dubbiosi, alcune domande restano aperte: è opportuno allearsi a una società di cui non si conosce la struttura proprietaria, che non è trasparente sui suoi mezzi propri, non ha un bilancio pubblico, non è soggetta a nessun organo di controllo e revisione, e che ha sede in un paradiso fiscale? (sono opacità sottolineate ancora tre giorni fa dal «Wall Street Journal», che non è tra le mie letture preferite). Non torno sulle passate (e ancora presenti) disavventure di Tether con la giustizia di New York. Se al momento non sembra esserci per Lugano un rischio finanziario c’è però un rischio reputazionale. Prima di accogliere a braccia aperte questa collaborazione è stata fatta un’analisi accurata dei rischi, anche reputazionali? E da chi? Come è nata esattamente questa iniziativa: chi ha contattato chi? E quando? Si sono valutate altre opzioni, altri possibili partner, per lanciarsi come “capitale europea della blockchain”? Sono tutte domande, queste e quelle che seguiranno, a cui il Municipio non è tenuto a rispondere in questa sede. Ma speriamo che lo voglia fare.

Veniamo all’accordo con El Salvador. Come dicevo qui entriamo in un terreno che potremmo definire, tra virgolette, di “politica estera”, su cui il Consiglio comunale non sembra proprio avere voce in capitolo. Il tema è stato toccato, circa un anno fa, anche da un articolo sugli imbarazzanti contatti con il clan al potere in Kazakhstan e da un’interrogazione a proposito delle violazioni dei diritti umani in Cina e dei rapporti di gemellaggio che Lugano ha con alcune città cinesi (int. 1235). È che qui non parliamo di gemellaggi tra città, ma dell’accordo con uno Stato. Il relativo memorandum non ci è noto, e già questo pare discutibile. Nota è invece la politica portata avanti fin qui dal presidente Bukele. Lasciamo pur perdere il fatto che finora il paese avrebbe perso circa il 60% del denaro pubblico investito in Bitcoin. Non ho gli strumenti per negare che la tendenza potrebbe anche invertirsi, ma intanto il Fondo monetario internazionale, i cui delegati sono in Salvador proprio in questo periodo, è molto prudente di fronte all’opportunità di concedere un prestito a questo paese in difficoltà, e proprio per la sua criptoavventura. In merito alla presentabilità del Salvador come partner penso anche alle evidenti tendenze autocratiche, con l’asservimento del potere giudiziario e la sospensione di alcune libertà costituzionali. Come è avvenuto l’avvicinamento tra Bukele e Lugano? Chi ha fatto da intermediario? Non è che la città di Lugano possa essere usata, e con lei di riflesso il “marchio” svizzero, come fiore all’occhiello o come foglia di fico per il disinvolto agire economico e politico di questo autocrate rampante? Vedremo i risultati di questa avventura. Per intanto abbiamo solo da una parte il sogno-specchietto della Bitcoin Beach sul Pacifico e dall’altra quello di via Nassa crypto-friendly. A proposito: è previsto un limite massimo per acquisti in bitcoin nella nostra ”via del lusso” o si può proprio lavare in criptovalute quanto si vuole?

Chiudo con un paio di considerazioni più leggere sul nome "Plan B", che ha una sua innegabile efficacia. «La Città ha subíto nel tempo la perdita inequivocabile di una parte importante di economia cittadina legata al settore finanziario, con la conseguente perdita di posti di lavoro e di risorse fiscali», scrive il Municipio in risposta agli atti parlamentari del marzo 2022. Ecco quindi un tentativo, un piano B, per trovare una nuova centralità anche finanziaria, tramite la promozione della tecnologia blockchain e delle criptovalute. Non c’è un forte rischio di diventare una piazza del riciclaggio? È vero che Lugano lo è già stata, ai bei tempi del Plan A, degli italiani con le valigette e con una banca a ogni angolo di strada. Non replichiamo il modello, ormai finito, ma ne rinnoviamo lo spirito? Da lavatrice cartacea a criptolavatrice? E qui cade bene una frase di Federico Franchini: «Ma Lugano è Lugangeles, borgo di periferia che si vuole centro del mondo inseguendo il profumo inodore dei soldi».

Dobbiamo infine dire che "Plan B" non è un nome particolarmente originale. Lo ritroviamo in vari ambiti: una catena di ristorazione nei Grigioni, un rapper londinese, una casa di produzione cinematografica, una pillola del giorno dopo...  Ho qui un vino della Linguadoca, pure chiamato "Plan B", che lascio poi in omaggio al sindaco: fruttato, con aromi di cassis e mora, una bella trama tanninica, un tocco rustico e un finale croccante con sentori di ciliegia. È un vino biologico, e senza solfiti aggiunti. Quindi rispettoso dell’ambiente e del consumatore. C’è da augurarsi che il "Plan B" luganese sia altrettanto rispettoso: dell’ambiente e della collettività. Ma sarà così? Le premesse sembrano assai oscure.

(Danilo Baratti, 6 febbraio 2023)

Verdi, ConsiglioComunale, 2023

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