Il mistero dei «pagani» (2000)
Le «case dei cröisch» in una leggenda raccolta da Walter Keller e in uno studio di Mosè Bertoni
LiteraTour 20: Lottigna - Malvaglia
Il mistero dei «pagani»
Le «case dei cröisch» in una leggenda raccolta da Walter Keller e in uno studio di Mosè Bertoni
In valle di Blenio si vedono ancora i resti di alcune strane costruzioni chiamate «case dei cröisch», «case dei grebel» o «case dei pagani». Quella sopra Olivone a cui fa riferimento la leggenda è una di queste. Non sono tanto eine Art Katakombe, come dice Keller, ma piuttosto grotte fortificate: cavità naturali situate in pareti verticali, chiuse da lavori in muratura più o meno complessi, certamente arditi, e trasformate in rifugi abitabili e inespugabili. A differenza delle catacombe sono lì, strapiombanti sui villaggi, alla vista di tutti.
Le due case dei pagani meglio conservate si trovano sopra Dongio e Malvaglia. La prima profonda un paio di metri e lunga 14, era costruita su 3-4 piani. Il tetto e le travature interne sono crollati da tempo. Resta in piedi buona parte della parete esterna principale, con alcune aperture ancora ben visibili, e una parete divisoria interna. Quella di Malvaglia, pure semidiroccata, è di dimensioni analoghe.
Entrambe sono avvicinabili, ma difficilmente raggiungibili. Particolarmente pericolosi sono gli ultimi metri di cammino, da percorrere su cenge strettissime sull'orlo del precipizio, e l'accesso agli edifici. Per questo motivo il nostro itinerario prevede una tranquilla contemplazione dal basso e non la «conquista» delle rocche. Del resto chi scrive, affetto da vertigini, si è guardato bene dall'avvicinarsi troppo e ha fatto prudentemente ricorso alla nutrita letteratura e all'eloquenza delle fotografie che l'accompagnano.
Nani e streghe
È normale che intorno a queste costruzioni antiche e misteriose (nessun documento ne spiega origine e funzioni, o semplicemente ne parla) si siano condensate molte leggende. Il fatto di scegliere qui — in un libro turistico-letterario confezionato per un pubblico tedescofono — una leggenda già apparsa in traduzione tedesca, può sembrare una semplice soluzione di comodo. In realtà la scelta di un testo pubblicato da Walter Keller ha anche altre giustificazioni: egli è stato un pioniere nella raccolta di fiabe e leggende della Svizzera italiana, così come il suo contemporaneo Hans In der Gand lo è stato nella raccolta dei canti popolari. Certo il loro metodo è più vicino a quello dei folkloristi ottocenteschi che a quello dell'etnologia attuale, ma va a questi due svizzero-tedeschi il merito di aver avviato un'esplorazione sistematica della tradizione orale ticinese.
(Incollare Keller !)
Come altre, la leggenda qui riportata, riferita a Keller da Arcadio Polti di Olivone verso il 1930, associa alle strane abitazioni magia e stregoneria: i Croix (cröisch) sono als Hexenmeister und Zauberer gefürchtet. In un paese che ha conosciuto con tanta forza il fenomeno stregonesco l'associazione sembra inevitabile. Può invece stupire trovare qui rovesciata la transustanziazione oro-carbone, tipica del sabba («il diavolo mi diede un fazzoletto con dei denari dentro, ma quando fui a casa trovai solo carboni», raccontano molti imputati): a quanto pare l'arte di questi cröisch non è di natura diabolica. Del resto si tratta di un topos presente in altre leggende, come in questa raccontata nella valle dello Hasli, nell'Oberland bernese:
Es war mitten in der Nacht, als ein Zwerglein zu einer Frau kam und sagte, sie solle kommen, sein Weib liege im bett und sollte Hilfe haben. Sie kleidete sich schnell an; das Zwerglein ging vorhaus und sie interher. Am Ende kamen sie zum Weiblein, und als alles vorbei war, richtete sich die Frau, um heimzugehen. Aber das Zwerglein sagte, sie solle einen Augenblick warten, es wolle ihr noch den Lohn reichen, und nicht lange ging's, kam es mit einer Handvoll Kohle und legte ihr diese in die Schürze. Die Frau betrachtete die Kohle und dachte, solche hätte sie zu Hause auch, und im Heimgehen schaute sie nicht lange zurück, wenn eine Kohle aus der Schürze auf den Boden fiel. Das Zwerglein sah das und rief der Frau nach:
«Je meer düü zätsch
Je minder düü hätsch!»
Je mehr du zertreust
Je weniger du hast!
Sie tat, als wenn sie hart hörte und schob ab. In der Küche warf sie die Kohle wütend auf die Feuerplatte, ging zu Bett und schlief bis weit in den Morgen hinein. Es war spät, als sie in die Küche kam und feuern wollte. Da glitzerte es auf der Feuerplatte; sie schaute besser und sah: Wohin sie die Kohle geworfen hatte, lag jetzt ein Häuflein Gold! Jetzt hätte sie das Zwerglein verstanden; sie eilte über die Treppe hinunter und wollte die verlorene Kohle suchen, aber sie fand nicht das kleinste Stücklein mehr (Handbuch der Schweizerischen Volkskultur, Offizin, Zürich 1992, Band III, 1298)*.
Qui i grati e incompresi dispensatori d'oro sono dei nani, ma la storia è la stessa: secondo un meccanismo proprio della tradizione orale, i temi si ritrovano con varianti più o meno significative in varie regioni, talvolta in tutta Europa. È il caso anche di altre leggende legate alle «case dei pagani» della val di Blenio, che hanno quasi sempre come protagonisti nani, folletti, maghi o streghe. Per esempio quella della divoratrice di bambini che li rinchiude in una gabbia e ne saggia la crescita tastando un ditino, come la strega di Hänsel e Gretel. Alla fine anche la «pagana», come la strega cattiva, finisce per cuocere, non arrostita nel forno ma bollita nel pentolone, grazie alla prontezza di una delle piccole vittime. In un documentario televisivo degli anni Sessanta una signora bleniese, che doveva pur conoscere la favola dei fratelli Grimm, racconta la propria versione affermando con convinzione assoluta che si trattava proprio dell'ultima «pagana», in carne e ossa: la leggenda diventa verità storica.
Qualche volta a combattere la malvagità di streghe, nani e folletti compare, in questi racconti, qualche santo (tra questi il cardinale Carlo Borromeo) o addirittura la Madonna in persona.
Mosè Bertoni e i «pagani»
Prima o poi le misteriose abitazioni dovevano generare, oltre a leggende, studi e dissertazioni. Il primo a occuparsene, a descriverle, a tentare un'interpretazione storica, è stato un bleniese, Mosè Bertoni, nel 1883. Per questo il nostro viaggio inizia da Lottigna, il suo villaggio, e segue idealmente i suoi passi. Solo in parte, però: non tanto perché ci fermiamo ai piedi delle costruzioni, ma perché per seguirlo fino in fondo dovremmo andare fino in Paraguay, ben oltre gli orizzonti geografici di questo libro.
Chissà se Keller aveva letto le pagine di Bertoni? Anche il giovane bleniese, in chiusura del suo breve saggio, racconta una leggenda:
Ad Aquila, tra i Cröisch di Sass Pidana, una madre aveva un bambino. Sia per cangiarlo con uno più bello, sia come altri riportano forse a ragione, che il bambino fosse malato e ad essa mancassero i mezzi per soccorrerlo, la madre, discesa di soppiatto nella sottostante campagna, si avvicinò ad una culla ove stava un altro bambino, lo prese, vi lasciò invece il suo e fuggì. la madre di questo secondo bambino, che lavorava poco lungi, si accorse dello scambio, e fuggì gridando senza toccare il fanciullo pagano. La superstizione aggiungendo alla crudeltà, nessuno volle occuparsi di questo misero, il quale, abbandonato nei campi, piangeva a commovere i sassi. Ne sarebbe morto in breve, ma sua madre, straziata dai lamenti che giungevano la notte sino a lei, con pericolo di vita scese a consegnare il bambino rapito ed a riprendere il suo. Chi fu più crudele? Non è difficile il dirlo.
Anche il tema del rapimento/sostituzione del bambino da parte di streghe o folletti è presente in altre vallate alpine, per esempio in val Varaita, ma Bertoni dà alla tradizione un valore informativo concreto, quasi letterale. Cita la leggenda a sostegno della sua tesi: che quegli anfratti fortificati erano abitati da «pagani» nel vero senso della parola, da una minoranza di vallerani che aveva resistito nei secoli alla cristianizzazione. Perseguitati, malvisti, forse anche temuti, si erano ridotti a vivere pericolosamente su quei dirupi, a due passi dai villaggi ma esclusi dal consorzio umano. La leggenda documenterebbe «che quando un gruppo minacciava di estinguersi, essi scendevano a rapire i bambini de' cristiani e li allevavano come propri». Ce la possiamo quasi immaginare — oggi qualcuno ne farebbe un film — la loro triste e ardua lotta per la sopravvivenza, così come se l'era immaginata Bertoni. Però l'impianto del suo discorso poggia su prove fragili o fasulle. A parte la leggenda, egli cita due testi dei secoli XVI e XVII che dimostrerebbero la persistenza di culti pagani in valle. Solo che il primo è uno scherzo barocco, un testo scritto da accademici milanesi che si divertivano a fare il verso al dialetto dei facchini bleniesi, numerosi a Milano, senza aver mai visto la valle. Il secondo è uno strano testo in versi di un ecclesiastico colto, che allude al culto di Bacco in un villaggio bleniese, probabilmente una pura invenzione letteraria. Resta vero il dato di fondo, che in questa e in altre valli la penetrazione del cristianesimo è stata tardiva. Ma questo non basta a spiegare l'esistenza delle «case dei pagani» (e anche sui nomi — «pagani», «cröisch», «grebel» — dal significato mutevole nel tempo, non ci si può appoggiare più di tanto).
Benché di certezze non ve ne siano, oggi si ritiene piuttosto — data l'epoca di costruzione, verso il Mille, e la natura delle costruzioni — che si tratti di rifugi edificati dagli stessi abitanti dei paesi sottostanti per far fronte alle continue scorribande che hanno caratterizzato i secoli centrali del Medioevo. La presenza umana in quelle dimore è attestata fino alla prima metà del Trecento, quando la dominazione milanese mette fine a un periodo di disordine politico e di incertezza.
Dai pagani ai guaraní
All'epoca in cui scrive il suo articolo, Bertoni è ateo ed è attratto dall'anarchismo (a Ginevra, dove studiava scienze naturali, si era avvicinato a Kropotkin). La sua interpretazione delle «case dei pagani» è certamente legata al suo orientamento ideologico ma mostra anche il forte interesse per la storia, la cultura e la natura della sua valle.
Eppure Mosè da quella valle si sta staccando per sempre: non rivedrà più quei dirupi, quelle strane mura. Anche lui, come i suoi antichi pagani, si sente un estraneo in quella terra, in quel cantone ora governato dai cattolici conservatori. Ma si sente estraneo anche in Svizzera, in Europa, in quella «società sifilitica che le bombe soltanto sapranno guarire; una società che dal lezzo in cui gavazza puttanescamente ci beffa delle nostre superstizioni umanitarie, e ci offre il suo immondo pane a prezzo dell'umiliazione e dell'abbrutimento». «Peggio di quà non staremo mai!», scrive alla moglie Eugenia nel febbraio del 1882.
Invece di resistere in una grotta, decide di partire per l'Argentina, anche perché i suoi progetti vanno ben oltre la semplice sopravvivenza: vuole vivere di agricoltura e di scienza, creare una comunità laboriosa che metta anche in pratica i principi di uguaglianza e solidarietà. Parte nel marzo del 1884, a 27 anni, con la moglie incinta e quattro figli, la madre e un pugno di conterranei. Al progetto sociale rinuncia subito, anche perché i suoi compagni lo abbandonano. Per finire sceglie il Paraguay, dove crea la Colonia Guillermo Tell, in riva al Paraná, nel luogo chiamato ancora oggi Puerto Bertoni, poco distante dalle cascate di Iguazú.
Dalla moglie ha 13 figli, i cui nomi riflettono i tanti moventi, a volte contrastanti, della sua vita: la patria svizzera (Reto Divicone, Arnoldo di Winkelried, Guillermo Tell, Walter Fürst, Werner Stauffacher), l'anarchismo giovanile (Vera Zasulic, Sofia Perovskaja, i nomi di due anarchiche russe), la scienza (Carlos Linneo, Aristóteles Eugenio, e qui c'è anche un omaggio alla moglie), la speranza in un avvenire radioso (Aurora), il desiderio di perpetuare il propio nome (Moisés Santiago). L'unico nome senza un significato esplicito è quello di Ines, portato da due figlie (la prima morta in tenera età).
Questo emigrante unico, discendente dei veri costruttori delle «case dei pagani», crea in mezzo alla foresta, con altrettanto ardimento, un'azienda agricola, una stazione di ricerche agronomiche e meteorologiche, una biblioteca di 12 mila volumi, una tipografia. Da questa escono, nel 1922 e nel 1927, due splendidi volumi della Civilización Guaraní, una delle sue opere più note: dopo essersi occupato di botanica, fitopatologia, agronomia, geologia, climatologia — pubblicando centinaia di scritti scientifici apprezzati in Paraguay e all'estero — Mosè Bertoni torna allo studio dell'uomo: alla storia e all'etnologia.
È un settore in cui egli, naturalista di formazione, si rivela piuttosto ingenuo, e non a caso la parte tuttora valida del suo lavoro è quella dedicata alle erbe curative e alla medicina indigena. Nell'intento nobile e coraggioso di mettere in valore i guaraní e il loro ruolo storico, ricorre a concetti e strumenti propri del razzismo scientifico di fine Ottocento: l'idea di una gerarchia delle razze, l'angolo facciale, l'indice nasale, la craniometria in genere. Risultato: i guaraní sono una razza superiore, come l'Homo alpinus. Non solo: i Reti (tramite gli etruschi) e i guaraní (tramite l'Atlantide scomparsa) sono entrambi legati agli antichi Egizi.
Anche qui, come negli articoli storici scritti in gioventù, Bertoni usa le fonti con gran disinvoltura. Tra queste, ancora una volta, la tradizione orale. Rileggendo i miti del popolo guaraní, sovrappone il più possibile - come già avevano fatto i missionari gesuiti — il pantheon indio con le divinità cristiane. Mosè non è più ateo, è anzi diventato a suo modo fervente cristiano, e ora per lui la presenza di concezioni religiose compatibili con quelle cristiane è un ulteriore prova dell'appartenenza dei guaraní alle «razze superiori». Ancora una volta si fa guidare dall'ideologia e costruisce un discorso dalle fondamenta scientifiche fragilissime.
Rimane costante la generosità nell'errore, il desiderio di riscattare i vinti. Ora i dignitosi guaraní, come allora i tenaci «pagani».
Indicazioni bibliografiche
Walter Keller, Tessiner Sagen und Volksmärchen, Olms, Zürich 1981.
Sulle case dei Pagani:
- Mosè Bertoni, Le Case dei pagani, riedizione commentata a cura di Peter Schrembs, La Baronata, Lugano 1996(il titolo trae in inganno: il breve studio di Bertoni occupa poche pagine, è quasi un pretesto per iniziare il discorso. Nel resto del volume Peter Schrembs localizza e descrive le varie case dei pagani, presenta lo stato attuale delle conoscenze e le ipotesi dei vari autori che se ne sono occupati. A questo testo rimandiamo per una bibliografia completa).
- Ely Riva, Ticino sconosciuto, Fontana, Pregassona 1981, pp. 61-71.
- Lukas Högl, Burgen im Fels, Walter, Olten 1986.
Su Mosè Bertoni:
Danilo Baratti e Patrizia Candolfi, L'arca di Mosè. Biografia epistolare di Mosè Bertoni (1857-1929), Casagrande, Bellinzona 1994.
(questo testo è apparso, solo in traduzione tedesca, in un libro che propone escursioni letterarie in Ticino: Danilo Baratti, Heidenrespekt vor den Höhlen in den Felsen. Aus den Spuren der Cröisch im Bleniotal, mit Mosè Bertoni und Walter Keller, in Beat HÄCHLER (Hrsg.), Das Klappern der Zoccoli. Literarischen Wanderung im Tessin, Zürich, Rotpunktverlag, 2000, pp. 288-299)
Seguono le indicazioni per la passeggiata (del 2000, non aggiornate):
LiteraTour 20
Gehzeiten Ca. 3 h
Höhendifferenz Da Lottigna a Malvaglia ci si abbassa di 260 metri
Karten LK 1:25'000, Blatt 1253 Olivone und Blatt 1273 Biasca
An-/Rückreise Stazione FFS Biasca-Lottigna [Fahrplanfeld 600.72]. Si riparte da Malvaglia-Orino o da Malvaglia-Chiesa per Biasca FFS.
Route A Lottigna (632m) si imbocca l'antica strada maestra verso Acquarossa (dopo il Museo: «sentiero basso»). Da lì si continua sempre sulla sinistra orografica del Brenno fin quasi a Dongio («strada vecchia per Dongio»). Quando la mulattiera raggiunge la strada cantonale (sulla carta c'è l'indicazione 488 m), si attraversa il ponte e si svolta subito a sinistra per prendere la mulattiera che passa da San Remigo e Monastero. Da qui si vede bene, sul lato opposto della valle, la più grande «casa dei pagani» di Dongio. Si continua poi per Ludiano, dove si prende il sentiero per il castello di Serravalle. Dal castello si vede da lontano, sul lato destro della gola che si apre dietro Malvaglia, l'altra casa dei pagani (meglio avere un binocolo). Sotto il castello, prendere poi, a sinistra, la strada Semione-Malvaglia-Rongie. Andando da Malvaglia-Rongie a Malvaglia-Chiesa sulla vecchia strada cantonale si attraversa il torrente Orino (non sul ponte più diretto, ma su quello in sasso un po' più all'interno della valle): prima di attraversare il ponte, sulla parete meridionale della gola vedrete più da vicino la «casa dei pagani» di Malvaglia (sempre che la vegetazione non sia troppo fitta).
Variante Chi vuole avviciarsi alla «casa dei pagani» di Dongio, non attraversi il Brenno prima di Dongio ma prosegua sul lato sinistro fino al cimitero (qui si trovava, un tempo, il villaggio): la casa è lì sopra. Si può salire sia verso destra che verso sinistra. Attenzione agli ultimi passi! Chi vuole avvicinarsi a quella di Malvaglia, deve andare fino alla cappella di San Nicolao. Da lì l'accesso è possibile ma molto pericoloso. Eventuali ampliamenti di questa gita possono essere gli intinerari n. 5 (Comprovasco-San Carlo di Negrentino-Leontica-Comprovasco), n. 2 (Ludiano-Navone-Semione-Serravalle) e n. 1 (Malvaglia Rongie-Ponte di Laú-Malvaglia Chiesa) dell'opuscolo Valle di Blenio (vedi sotto). Sono estensioni di 2-3 h.
Weiterführende Wanderliteratur Associazione archeologica ticinese, Le vie del passato: itinerari storici e archeologici nel Canton Ticino. Valle di Blenio, 1998 (opuscolo acquistabile per 5 fr. presso gli enti turistici)
Essen Ristoranti e bar nei vari villaggi
Tipps A Lottigna c'è la vecchia Casa dei Landfogti, ricoperta di stemmi dipinti. Ospita il Museo di Blenio, aperto da Pasqua al primo novembre (ma-ve: 14.00-17.00; sa-do e festivi 10.00-12.00 e 14.00-17.00; tel. 091-871 17 65 e 871 19 77 per visite fuori orario). Sul percorso da Dongio a Malvaglia vi sono alcuni edifici sacri di interesse: la chiesa di San Remigio, l'oratorio di San Martino in località Monastero, la Chiesa di San Pietro a Motto, la parrocchiale di San Martino a Malvaglia.
* Versione italiana: La Svizzera. Vita e cultura popolare, Casagrande, Bellinzona 1992, vol. 3, 1298.
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