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Fuori l'autogestione dal Macello? (2012)

Proposta di intervento dei Verdi per il dibattito in Consiglio comunale del primo ottobre 2012

 

(Proposta di intervento dei Verdi per il dibattito in Consiglio comunale del 1 ottobre 2012)

Periodicamente tornano le denunce sui presunti fastidi generati nel vicinato dal Centro sociale il Molino, insediato all’ex Macello di Lugano, e sulla sua situazione di illegalità. Questa volta è l’UDC, e non stupisce.

Tra gli allegati dell’atto parlamentare democentrista troviamo anche un documento di Martino Rossi del 31 maggio 2005, che sintetizza benissimo gli aspetti importanti di questa esperienza, e che facciamo nostro: «in un contesto sociale e urbano come il nostro e di altre città svizzere, un centro sociale autogestito rappresenta, per una frangia non irrilevante della popolazione, soprattutto giovane, un punto di ancoraggio importante per far fronte al disagio sociale ed esistenziale, sia ad esperienze positive di partecipazione, responsabilizzazione, codecisione». 

Basterebbe andare a dare un’occhiata per cogliere la sostanza di queste parole.

Certo, non si tratta di un luogo in cui la maggior parte dei consiglieri comunali passerebbe volentieri le proprie serate: altri valori, altre abitudini, altre aspettative, altro décor.

Al Molino si può scoprire che un film si può vedere piacevolmente in compagnia anche con un semplice beamer e su poltrone sgangherate recuperate nei rifiuti ingombranti, che i concerti si possono ascoltare anche in una sala senza poltroncine e riscaldata con stufe fatte a mano, che un libro si può consultare anche bevendo una birra, che si può stare all’aperto, anche in una serata fresca, chiacchierando per ore senza l’assillo del consumo, che si può intervenire liberamente nell’assemblea settimanale. Eccetera. Certo non è l’ambiente in cui ama aggirarsi la maggior parte di noi, ma non si vede perché dovrebbe esserlo: lì si riunisce un mondo che cerca quel tipo di relazione sociale e di proposta culturale. Dobbiamo negarne l’esistenza?

Uno dei temi ricorrenti di chi vuole la fine dell’autogestione è quella del disturbo. Molti sono infastiditi dalla sfilata estiva delle moto, molti sono infastiditi dal furore assordante dei tifosi di hockey (quante volte interviene lì la polizia, e quante al Molino?), molti sono infastiditi dalle file di automobili che intasano il centro, molti sono infastiditi dallo stand di tiro di Cornaredo (almeno per qualche tempo ancora), molti sono infastiditi dalla musica nei supermercati e nei bar, molti sono infastiditi dalla pubblicità che intasa la città, molti sono infastiditi dalla pubblicità che intasa le bucalettere, molti sono infastiditi dagli «air show», molti sono infastiditi da chi prova fastidio. Ogni subcultura genera i suoi fastidi al resto della cittadinanza. Quelli generati dal Molino non sono certo i più fastidiosi e invasivi.

L’altro tema è quello della «situazione di illegalità». Anche le forme di illegalità tollerata sono parecchie, e questa non è certo la più dannosa alla comunità. Non è nell’illegalità la città, ogni qual volta vengono superati i limiti legali di inquinamento (ozono, polveri fini...)? Non è nell’illegalità la città quando si rifiuta di far pagare, in barba alle disposizioni federali e cantonali, la tassa sui rifiuti? Non è nell’illegalità la città quando mantiene un numero di parcheggi superiore a quello stabilito dalle norme federali? In confronto la situazione di “illegalità” che caratterizzerebbe la presenza degli autogestiti al macello fa sorridere.

Altro problema sollevato è quello della fatiscenza dello stabile. Su questo possiamo essere d’accordo. Ma di fronte all’inarrestabile distruzione del patrimonio storico-architettonico della città in nome del profitto, ci chiediamo anche se la collocazione decennale del centro sociale all’ex-macello non abbia in fondo contribuito alla salvezza dell’edificio.

Il nostro auspicio è che si possa intervenire e consolidare la struttura a tappe, senza allontanare il centro sociale, trovando soluzioni temporanee di convivenza tra la riattazioni necessarie e le attività socioculturali. Se ciò non fosse possibile, visto che ci si dice che il Casinó è in crisi e deve procedere a licenziamenti, vedremmo volentieri l’insediamento del centro sociale negli spazi del Casinó, in una zona in cui non ci sarebbero inquilini disturbati dalle attività del Centro.

Sul piano morale il centro città ne guadagnerebbe.

(alcuni spunti sono stati ripresi dalla consigliera comunale Melitta Jalkanen)

autogestione, Verdi, 2012

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