Le topaie e il sindaco (2008)
Per il sindaco-architetto la casa popolare di via Vignola progettata da Rino Tami era da abbattere. Fortunatamente hanno prevalso altre logiche
Le topaie e il sindaco
Tolti un paio di giorni passati al reparto maternità, ho vissuto i miei primi vent’anni (dal 1954 al 1974) al numero 19 di via Vignola, in quella casa popolare di Molino Nuovo, a Lugano, di cui si parla molto nelle ultime settimane perché destinata alla demolizione: una delle tre «case del vescovo», la più vecchia. Leggendo quanto dichiarato dal sindaco Giudici alla «Regione Ticino» il primo marzo (p. 19) sono rimasto perplesso: «lo stabile necessitava di troppi interventi per essere riportato a dignità abitativa». Ammetto di non sapere in che condizioni siano oggi gli appartamenti di quello stabile. I miei genitori hanno continuato ad abitarlo per un’altra ventina d’anni, e so che in quel periodo lo si è dotato di riscaldamento centralizzato (quando ci vivevo io portavamo ogni giorno, nella stagione fredda, la nafta dalla cantina al terzo piano) e si sono introdotte altre migliorie. I locali non sono grandi, ma c’è una buona luminosità e gli appartamenti, due dozzine, hanno una terrazza a ovest e una a est, che guarda sul prato alberato, uno dei pochissimi rimasti nel quartiere, in cui i bambini possono giocare tranquillamente. Presumo che la «dignità abitativa» ci sia ancora (del resto non mi risulta che l’abbattimento dello stabile sia stato caldeggiato dagli inquilini, né che un ufficio statale abbia dichiarato l’inabitabilità degli appartamenti), e se aggiungiamo a questo il canone di affitto moderato, possiamo capire quanto quella casa sia socialmente preziosa.
Quale sarà, per il sindaco-architetto, la soglia della «dignità abitativa»? «Non voglio topaie», dice ancora in quella pagina, improvvisandosi promotore non di «alloggi popolari», ma di misteriosi «appartamenti con standard di comfort a prezzi ridotti». Cosa offre per ora al cittadino non benestante questa Lugano allargata e vorace che conta quasi più gru che abitanti? Sui cartelloni che accompagnano i cantieri abbondano formule del tipo «rifiniture di lusso», «standing elevato», «appartamenti di prestigio». Pare che i super-attici «vista lago» siano ambiti dai nuovi milionari russi: così la città si popola di «ricchi contribuenti», possibilmente loschi, ed espelle i suoi «poveri». Insieme a chi non può permettersi appartamenti cari o carissimi (e che magari li desidera), la città espelle anche chi per scelta decide lucidamente di guadagnare poco, di consumare poco, di vivere con poco, di accontentarsi di poco, anche di un appartamento che per il sindaco non ha più «dignità abitativa». Tra le molte case, casette o palazzine di Lugano su cui svettano oggi le modine, parecchie sono certamente, secondo i criteri del sindaco, topaie: edifici vecchiotti, un po’ trascurati, vagamente fatiscenti all’esterno. Eppure chi ci abita non vuole andarsene, le trova vivibili. Sono vivibili. Conserviamole, allora: anche i topi, gli stranieri non danarosi, i precari e tutti coloro che per necessità o per scelta sono ai margini del ciclo virtuoso «produci e consuma», dovrebbero poter vivere nella sfavillante Lugano. Anche nel dignitosissimo stabile di via Vignola 19-21-23, il cui interesse storico-urbanistico è stato ben illustrato, nelle scorse settimane, dall’architetto Tita Carloni.
Danilo Baratti, Soragno
(Le topaie di Lugano e il sindaco architetto, «Corriere del Ticino», 31 marzo 2008, p. 51)
malaedilizia, CorrieredelTicino, 2008
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