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Una lettera al Caffè (2016)

Quando i mestatori sono anche cattivi lettori

 

a Clemente Mazzetta, Redazione de Il Caffè, Locarno

Egregio signor Mazzetta,
suppongo – visti foglio, tema e stile – che sia lei il «c.m.» autore dell’articolo «I Verdi riprendono colore ma con un tocco di rosso» (Il Caffè, 14 febbraio 2016, pagina 15).
Se non fosse lei, mi scuso per l’errore (in quel caso ci penserà il direttore Giò Rezzonico, a cui mando copia, a far pervenire queste mie note al giusto destinatario).
Scelgo la forma della lettera personale perché so per esperienza che una lettera al giornale non troverebbe spazio (l’ho verificato tempo fa, quando mi ero illuso di poter replicare a strumentali inesattezze contenute in un articolo di Sergio Roic). E poi questa forma mi permette di criticare documentatamente il suo scritto superficiale e denigratorio, con le necessarie citazioni, senza preoccuparmi di problemi di spazio. E via!

«Ma sarebbe ingeneroso liquidare i Verdi equiparandoli ad un “balenottero spiaggiato”, come li definisce un ambientalista della prima ora (Danilo Baratti) sull’ultimo numero della rivista di cultura e didattica dei docenti socialisti “Verifiche”, raccontando di un movimento snaturato, “disorientato e boccheggiante come un cetaceo spiaggiato”».

Tanto per cominciare, il mio scritto faceva riferimento a un momento preciso, successivo alle disastrose elezioni federali e antecedente l’assemblea che ha nominato la nuova coordinatrice. La rivista è uscita in dicembre, l’articolo è stato chiuso il 16 novembre 2015 (lo dico nell’ultima pagina). Questo non è affatto un dato irrilevante, se si vuol proiettare sul presente un testo che aveva dichiaratamente come obiettivo di ragionare su come si era arrivati fin lì. Del resto il mio titolo (Un cetaceo spiaggiato?) metteva in bella mostra, non a caso, un punto interrogativo: in quel momento il partito «è lì, disorientato e boccheggiante come un cetaceo spiaggiato» (p. 31) ma «il futuro dei Verdi del Ticino è ancora poco leggibile» (p. 32). Dopo tre mesi – aggiungo a suo beneficio, nel caso le potesse interessare la mia opinione in merito – si vedono segni di promettente ripresa sia a livello locale sia a livello cantonale.

(Una noterella a margine: da molto tempo, credo una ventina d’anni, «Verifiche» non è più la rivista «dei docenti socialisti»).

«Baratti si dilunga per pagine e pagine su un movimento trascinato da Savoia “in un percorso di mutazione che l’ha ridotto... a malpartito. Trasformandolo in un partito come tutti gli altri. O forse peggio”.
Un’analisi che svela ambizioni e meschinità di un progetto, con qualche eccesso di critica che dimentica che non tutti si sono sempre schierati con Savoia (Greta Gysin, ad esempio), che parecchi si sono distanziati (il gruppo del luganese), che molti hanno espresso posizioni diverse (come la stessa Michela Delcò Petralli, attuale coordinatrice, sulla politica di immigrazione)».

Vada a leggersi le pagine 16, 24, 25, 26 e vedrà che ho ripetutamente fatto riferimento alle critiche di Greta Gysin (e non solo sue) a Savoia. Vada alle pagine 18-21 e scoprirà che mi dilungo sugli attriti tra Savoia e il gruppo di Lugano, di cui del resto ero parte attiva. Leggendo la pagina 28 vedrà che parlo del “commissariamento” della sezione del Luganese, accusata di non aver collaborato alla campagna elettorale di Savoia e compagni. A pagina 26-27 troverà inoltre una ricostruzione dell’assemblea dell’aprile del 2014 in cui una parte dei presenti (tra cui chi scrive) si è espressa criticamente su Savoia, e alle pagine 28-29 la lettera dei dissidenti che il 21 maggio 2015 si sono espressi pubblicamente sul malandazzo del partito.

Quanto a Michela Delcò, faccio ammenda, si era espressa anche lei contro l’iniziativa UDC sull’immigrazione, insieme ad altri che cito, in un elenco dichiaratamente non esaustivo, a pagina 24. Ma lei, signor Mazzetta, come li legge gli articoli? A due parole per pagina?

In questo brano il suo articolo arriva ad affermare palesemente il falso, naturalmente lasciando intendere al lettore che il mio testo sia stato letto da cima a fondo.

«Un pamphlet di 20 pagine da “anime belle”, che dimentica, però, come la politica sia anche coraggio di cambiare, voglia di fare, presunzione; qualità che a Savoia non sono mancate. Come diceva un ex ministro italiano, il socialista Rino Formica, “il più delle volte la politica è sangue e m...”. Caratteristiche, quelle di Savoia che hanno contribuito a mettere al centro del dibattito politico gli ambientalisti in un saliscendi di emozioni da montagne russe, da 2 a 7 e poi a 6 deputati nell’arco di un decennio».

Be’, la contrapposizione tra “anime belle” e chi si sporca le mani con la merda della politica ha sempre fatto parte anche della retorica di Savoia: un modo di affrontare la questione che finisce per far accettare qualsiasi porcheria (e non a caso la frase che lei cita è stata detta da un membro del PSI). Quanto a me – l’anima bella – ammetterà almeno, signor Mazzetta, di non conoscermi e di sapere ben poco su come e dove mi sono mosso politicamente negli ultimi quarant’anni. Qualcosina di “impuro” ho pur fatto, oltre a scrivere articoli, anche se non sono di quelli che lavorano sotto le luci della ribalta. Però è vero, ho sempre cercato di evitare la merda e forse questa è un’aristocratica debolezza. Detto questo, se un giorno lei leggesse davvero l’articolo – e altri più vecchi in cui ho apertamente criticato l’ex-leader dei Verdi – scoprirà anche che non ho mai negato certe capacità politiche di Savoia, tutt’altro.
Vedo infine che le è del tutto sfuggito anche un passaggio di pagina 14, più terre à terre, dove parlo della «vulgata fuorviante, spesso ripresa dai giornalisti, che indica in Savoia l’artefice della crescita dei Verdi dal 2,4 nel 2003 al 7,8% nel 2011. In verità Savoia diventa coordinatore, anzi co-coordinatore, solo dopo le elezioni del 2007, che vedono il partito passare da 2 a 4 seggi e sfiorare il quinto. A quel momento i Verdi erano ancora coordinati dalla coppia Boggian-Jalkanen. Sarebbe quindi più corretto dire che durante la gestione Savoia i Verdi sono passati da quasi 5 seggi a 7, scendendo poi a 6 nel 2015 (e questo senza disconoscere un certo “effetto Savoia” già nei numeri del 2007)».
Ed ecco dimostrata l’impossibilità di svellere dalla prassi giornalistica i luoghi comuni consolidati. Nemmeno la verità dei numeri e delle date, in questi casi, serve a qualcosa!

Richiede una precisazione anche il titolino redazionale: «I militanti della prima ora parlano del movimento paragonandolo ad un “balenottero spiaggiato”». Chiudiamo un occhio sulla brutta abitudine di mettere tra virgolette espressioni diverse da quelle originali (in questo caso siamo pur sempre nel campo dei cetacei, e posso anche condividere la sua simpatia per i misticeti), ma accollare questa mia immagine a tutti «i militanti della prima ora» è avventato e scorretto.

Insomma un articolo disinformativo, falsificante. Anche denigratorio nei miei confronti, nella misura in cui mi attribuisce omissioni inesistenti e riduce il testo a un prolisso sfogo senza costrutto. Il «pamphlet di 20 pagine da “anime belle”» – quelle «pagine e pagine» che lei non ha letto davvero e che tuttavia la disturbano – ha quella dimensione perché segue passo passo, documentandola, l’evoluzione del partito sull’arco di dieci anni.

(Tra l’altro, se è lungo da leggere è stato lungo e faticoso da scrivere, e mi ha impegnato per molte ore distribuite su un paio di mesi. Pensando e pesando ogni parola, attitudine che a quanto pare le è del tutto estranea. Magari ai suoi occhi quel mio testo può essere considerato un’incomprensibile e irritante stranezza, ma le assicuro che si tratta di un esercizio tutt’altro che insolito tra gli storici: documentarsi e argomentare partendo dai documenti. È il mio mestiere, qui applicato a un tentativo di “storia immediata”).

Aggiungo alcune osservazioni di carattere più generale.
Mentre non leggo quasi mai Il Mattino (proprio non ce la faccio, forse sono troppo sensibile) sfoglio abbastanza regolarmente Il Caffè, con particolare attenzione alla politica cantonale. Constato che spesso non prevale uno sforzo di capire e spiegare (avvenimenti, scelte specifiche, indirizzi politici) ma piuttosto quello di muoversi tra le cose e “lavorarle” per creare notizie vendibili e quindi, nella misura del possibile, spettacolari o almeno solleticanti. Così, per quanto riguarda i Verdi, più che capire quanto succedeva in profondità si è spesso preferito giocare sulle tensioni interne, semplificandole e riconducendole a scontri primari (Gysin vs. Savoia). Questo vale, sia chiaro, non solo per il suo giornale: quasi tutti di fronte al faticoso emergere di una multiforme e disomogenea opposizione interna hanno parlato, per indicare la formula più abusata, dei «dissidenti capitanati da Greta Gysin». Senza mai preoccuparsi di parlare, ovviamente, con questa opposizione (se non attraverso tentativi di raggiungere Greta Gysin o curiosando sulla sua pagina Facebook). Questa tendenza a cercare un’inesistente dinamica binaria si ritrova in qualche modo anche nel suo articolo, dove si contrappongono «i militanti della prima ora» all’era Savoia. Così i Verdi «sembrano ritornare al passato» con il «riavvicinamento alla sinistra», tanto più che i Verdi sono «guidati ora da Michela Delcò Petralli (ambientalista proveniente dalla sinistra)» (tra l’altro: non lo era anche Savoia?). Invece di utilizzare il mio scritto in ritardo per rinfocolare tensioni interne, con tutta la superficialità di lettura (o non lettura) che ho cercato di mostrare, sarebbe stato più opportuno prenderlo in considerazione, se intercettato per tempo, all’interno del discorso che avete voluto dedicare recentemente al populismo (perché è di questo che parla, non tanto della cattiveria di Savoia).
Posso certo capire che un articolo di venti pagine possa costituire un fastidioso scoglio per chi è portato per professione a bruciare i temi col respiro corto della cronaca e nella misura della mezza pagina («Baratti si dilunga per pagine e pagine»). Ma allora, se l’esito dev’essere necessariamente quello di una scorsa veloce e superficiale per cavarne qualcosa di spendibile, non sarebbe meglio lasciar perdere? (E coi libri, magari utili per capire il mondo, come la mettiamo?)
Infine mi chiedo se in mezzo a tanta distrazione, nella sua lettura randomica (c’è sullo Zingarelli 2014!) dell’articolo, non le sia magari caduto l’occhio proprio sul passaggio in cui dico, parlando d’altro, cioè della poca propensione dei Verdi ad affrontare certe questioni teoriche, «qui la faccenda è complicata anche dal non aver mai discusso seriamente di destra e sinistra, o più semplicemente dal continuare a usare certe categorie – che hanno una loro complessità politica, storica e filosofica – nel modo in cui lo fanno i giornalisti del Caffè o i sondaggisti» (lo dicevo all’interno di una mia comunicazione del 2011). Mi rendo conto che questo passaggio può aver prodotto, se còlto, un certo fastidio. Ma il suo articolo rimanda proprio, esemplarmente, a quell’approccio frettoloso, approssimativo e tutto sommato a-problematico a cui facevo riferimento in quel lontano messaggio del 2011.
Mi permetterò di mostrare questa mia lettera anche a qualche verde – mica tutti, per carità – visto che il tema li riguarda. E mi auguro, perché il lumicino della speranza resta sempre acceso (altrimenti non mi dedicherei a queste cose), che queste osservazioni possano essere di qualche utilità nella sua certamente non facile professione. Del resto – vista la diffusione capillare e considerata l’ambizione del Caffè a porsi, e sarebbe bello se lo fosse pienamente, come un antidoto al Mattino – con un Caffè migliore avremmo tutti da guadagnarci.
Mi scusi se sono stato un po’ lungo e gradisca i miei saluti

Danilo Baratti

Soragno, 15 febbraio 2016

 

L'articolo del Caffè (nella versione online il titolo è cambiato e la firma è completa): 

http://www.caffe.ch/stories/politica/53398_i_verdi_un_po_verdi_ma_anche_un_po_rossi/

Il mio scritto a cui si fa riferimento:

https://www.scrittibaratti.ch/scritti-politici/storia-del-tasso-e-dei-verdi/item/55-un-cetaceo-spiaggiato-2015

 

Verdi, IlCaffè, 2016

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