Skip to main content

Un anno di guerra: perché manifestare? (2023)

Le piazze esprimono, in modo diverso, condanna per l’aggressione, indignazione, solidarietà, angoscia

(Apparso il 24 febbraio 2023 su Naufragi/e: https://naufraghi.ch/un-anno-di-guerra-perche-manifestare/ )

Sono molte le manifestazioni previste, un po’ dappertutto, per il primo anniversario della guerra in Ucraina. C’è da immaginare che avranno toni e colori diversi: lì prevarranno appelli a una cessazione del conflitto e bandiere arcobaleno, là richieste di ritiro incondizionato dei russi e bandiere gialloblù. Sarà dunque lo specchio di diversi modi di guardare a questa guerra, che abbiamo visto nel corso di questo anno terribile. Da entrambe le prospettive – che poi non sono solo due, ma anche altre, solo parzialmente riconducibili a quelle – la guerra a cui assistiamo è intollerabile. È questo l’elemento comune delle manifestazioni e forse questo è anche il loro unico senso. Andando in piazza nessuno cambierà di una virgola la situazione: né chi vede nella crescente fornitura di materiale bellico all’Ucraina una spirale nefasta che allunga il conflitto e moltiplica le sue devastazioni sociali e materiali, né chi crede che la vittoria militare totale sia l’unica opzione realistica da perseguire. Ci vuole ben altro per condizionare i centri di potere che determinano quanto accade, a cominciare dalla testa di Putin. Eppure scendere in piazza e portarci la propria pur impotente indignazione di fronte a questo disastro – e chi non si può cullare nell’illusione che tutto si risolva fornendo senza fine tank e aerei è ancora più cosciente di questa impotenza – non è un gesto privo di senso. Affermare che questa guerra, come e più di ogni altra, per le nefaste conseguenze che comporta a livello planetario, è inammissibile, intollerabile, insostenibile. Scendiamoci, quindi, in piazza (anche a Bellinzona: stazione FFS, ore 17.30). Se poi qualche formica rossa vedendo sventolare anche un paio di bandiere della pace vorrà farne la caricatura dicendo che si va in piazza come bambini a pestare i piedi piagnucolando e limitandosi a scandire «guerra bbbrutto», lo faccia pure: sono effetti collaterali, letterari, del testosterone.

Una buona compagna di siffatte formiche è, ahimé, la ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock, secondo la quale “con le nostre armi salviamo vite”: di dubbi sembra proprio non averne, la ministra verde. La sua frase è citata (e contestata) nell’articolo di Jürgen Habermas uscito sulla «Repubblica» il 19 febbraio e opportunamente riproposto da Naufraghi/e. Sarei tentato di riprenderne delle parti, per sottolineare cosa muove il dubbio, ma è più saggio invitare chi non l’avesse visto a leggerlo integralmente. Si vedrà come non sia questione di “pacifismo” (termine molto vago e buono a tutti gli usi) ma di razionalità e concretezza (non meno concreta di quella, più metallica, di chi toglie i Leopard dai magazzini). Ne aveva ripreso qualche frase anche Roberto Antonini, in un commento uscito sulla «Regione» il 21 febbraio (e pure ripreso da Naufraghi/e), in un montaggio che ci portava disinvoltamente da Habermas a Zizek col rischio di ricondurre il primo sulle posizioni del secondo. Però sì, almeno una frase di Habermas la cito. Tocca un nodo molto delicato: «i governi occidentali agiscono in un contesto geo-politico più ampio, e devono tenere in considerazione altri interessi oltre a quelli ucraini in questa guerra: hanno obblighi giuridici nei confronti delle esigenze di sicurezza dei propri cittadini e inoltre, indipendentemente da quelle che sono le posizioni della popolazione ucraina, hanno una responsabilità morale per le vittime e le distruzioni provocate con le armi fornite dall’Occidente; quindi non possono scaricare sul governo ucraino la responsabilità delle brutali conseguenze del prolungamento delle ostilità, possibile solo grazie al sostegno militare offerto». Dovrebbe rifletterci chi ritiene che il sacrosanto diritto all’autodeterminazione della popolazione ucraina comporti necessariamente un diritto incondizionato al sostegno armato da parte dei governi “occidentali”.

Pur portando posizioni diverse, anche contraddittorie, le piazze esprimono, nel loro insieme, condanna per l’aggressione, indignazione, solidarietà, angoscia. Chiedono una via d’uscita. Quella via per ora non si vede, ma va cercata con ostinazione e intelligenza. In questo caso rigidità e certezze non aiutano.

Danilo Baratti

guerre, armi, Naufraghi, 2023

  • Creato il .
  • Visite: 479