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Naufraghi

Aspro Natale (2023)

Al di là degli interrogativi su due concorsi frettolosi, la generale incapacità di ascolto di chi dirige la Divisione della cultura

Tornare a Guido Rivoir (2024)

Nell'anniversario del colpo di Stato in Cile, «Naufraghi/e» ha risistemato nel Giardino dei Giusti di Lugano una targa scomparsa

Tra piroette scolastiche e dignità passata (2024)

Nel 1963 molti notabili liberali ticinesi hanno partecipato a una manifestazione di condanna per l'uccisione di un sindacalista in un regime dittatoriale. Lo farebbero oggi i politici PLR? -

 

(Articolo apparso su Naufraghi/e il 10 luglio 2024: https://naufraghi.ch/tra-piroette-scolastiche-e-dignita-passata/)

Nel giorno in cui Adolfo Tomasini ha pubblicato su Naufraghi/e l’articolo Scusate, sulla scuola abbiamo cambiato idea (liberale), ho ricevuto – destinato agli archivi di storia sociale della Fondazione Pellegrini Canevascini – un incarto relativo a una pubblica manifestazione tenutasi a Lugano il 24 aprile 1963 per protestare contro l’esecuzione di Julián Grimau. Solo quattro giorni prima Grimau, sindacalista comunista, era stato fucilato in Spagna dal regime franchista, prendendo a pretesto la sua attività in seno alla polizia repubblicana nel periodo della Guerra civile spagnola. La lettura, nella stessa giornata, dell’articolo di Tomasini e di queste carte ha prodotto nella mia testa un cortocircuito: le due cose, apparentemente così lontane, in qualche modo si toccavano producendo scintille sulle scorie odierne del liberalismo che fu. Tomasini osservava che le posizioni cavalcate ora in materia scolastica dal PLR (nazionale e di riflesso anche cantonale) sono la negazione di quella scuola che gli stessi liberali, insieme ai socialisti, hanno costruito nei decenni, almeno in Ticino. Uno stravolgimento dei principi ideali su cui quella scuola si è fondata (e in base ai quali bene o male ancora cerca di muoversi). 

Sfogliando le adesioni illustri alla manifestazione in onore di Julián Grimau – promossa e coordinata dal socialista Edgardo Bernasconi – ho visto sfilare, accanto a rappresentanti di altre correnti politiche, il fior fiore del liberalismo ticinese dell’epoca: Franco Zorzi, Carlo Speziali («Grimau rimarrà come luce di libertà nell’attuale disonorata Spagna»), Massimo Pini, Luciano Giudici (a nome dei giovani liberali radicali), Luigi Salvadé e Guido Marazzi per i Sindacati indipendenti ticinesi (liberali), addirittura il tutt’altro che radicale Franco Masoni (“l’imperdonabile delitto che ha colpito in Julián Grimau García la giustizia, la libertà, l’umanità e la vita…»). Libero Olgiati, presidente PLRT, esprimeva anche a nome del partito «indignazione, denunciata dalla coscienza del mondo civile, per il nuovo crimine perpetrato dalla dittatura franchista. La morte del sindacalista spagnolo – continuava Olgiati – ci riguarda tutti, perché nella grande lotta per la libertà Grimau ha scritto il suo nome cadendo per una causa che onora la civiltà e per la quale muoiono centinaia di altri uomini senza distinzione di fede o Partito». A dirigere la giornata di protesta, Pino Bernasconi, presidente del Convegno mazziniano di Lugano e pure appartenente a quell’area politica. E a parlare con trasporto in prima pagina di quel «comizio popolare», il quotidiano politico liberale-radicale «Gazzetta Ticinese».

Dov’è, o meglio, com’è oggi quel partito? A che manifestazione ancorata a questi principi parteciperebbe? Per cosa si mobilita? Che voce innalza di fronte ai soprusi, vicini e lontani, che ci circondano? O di fronte all’incultura politica imperante? È immaginabile oggi che l’intero gotha del PLR si esponga coralmente per qualche nobile causa priva di ricadute elettorali? Le voci riconducibili a quell’area che continuano a farsi sentire su questo terreno – penso ad Andrea Ghiringhelli, a Paolo Bernasconi (figlio di quel Pino) e pochi altri – lo fanno per lo più in posizione marginale, da battitori liberi. Per il resto: poteri da confermare, scranni da difendere, voti da spostare, posti da occupare, opportunità da cogliere, treni su cui salire frettolosamente, come quello della nuova battaglia per una scuola meno inclusiva. (E mettiamoci anche il trionfo della parte più malsana del DNA liberale, quella liberista: ed ecco sgravi fiscali, glorificazione del fantasmatico sgocciolamento, eccetera). 

Poveri liberali!, verrebbe da concludere. Ma bisogna relativizzare un po’ il giudizio, per tre motivi almeno. Se i rappresentanti politici liberali di oggi non sono all’altezza – culturale e politica – dei loro predecessori, il presente in cui viviamo, con tutti i suoi bei problemi irrisolti e urgenti, è pur sempre figlio del mito della crescita economica proprio dell’ideologia liberale (mito a lungo incontestato, da destra a sinistra): non è che ci siano santi da celebrare. Poi non è che mancassero, sessant’anni fa, ossessione elettoralistica e gestione tronfia del potere – c’erano, eccome! – ma si accompagnavano pur sempre a momenti di gratuito slancio ideale come questo del 1963 (e a una visione del mondo non ridotta a nudo credo economico). E infine i liberali non sono soli in questa loro deriva: anche altri partiti si muovono oggi sempre più “pragmaticamente”, e con personale politico non sempre passabile, badando essenzialmente a massimizzare i voti tramite un’azione politica di corto respiro (con scivolamento a destra di voti e partiti). Invece di “poveri liberali!” dobbiamo allora dire “poveri noi!”.

Danilo Baratti

Una sinfonia sulle macerie (2025)

Intorno alla giornata della memoria e a una manifestazione controversa

Una sinfonia sulle macerie –

Ho visto, su «LaRegione» di sabato 25 una fotografia che mi pungola a intervenire su un tema che ha fatto discutere: la manifestazione davanti al LAC di Lugano in occasione del concerto della Israel Philharmonic Orchestra. Ho partecipato ad alcune manifestazioni promosse dal Comitato unitario a sostegno della Palestina (CUSP). A volte mi sono sentito a disagio di fronte a certi slogan e al modo di esprimerli, ma quel che è capitato e capita a Gaza è talmente abnorme da far mettere in secondo piano le sfumature: la risposta di Israele ai crimini del 7 ottobre è inaccettabile e va pubblicamente condannata. Ci sono andato non con la bandiera palestinese ma con quella della pace, oppure senza. E in silenzio.

Non ho invece partecipato, per scelta, alla manifestazione davanti al LAC, e avevo anche scritto a una persona vicina all’organizzazione: «spero che il CUSP, se proprio vorrà manifestare, trovi la forma adeguata per farlo in quel contesto». Il contesto: un concerto legato alla giornata della memoria; un’orchestra che porta sì il nome di Israele ma non è un’emanazione diretta di quello Stato (e men che meno del suo governo genocida); un programma dedicato interamente alla musica russa: Musorgskij, Šostakovič, Čajkovskij. Se accenno al programma è perché la richiesta di annullare il concerto mi ha un po’ ricordato quel momento di follia culturale che ha caratterizzato l’inizio della guerra in Ucraina, quando vari teatri, su sollecitazione dei governi o per propria zelante iniziativa, hanno soppresso concerti già programmati in cui c’erano solisti russi, orchestre russe o addirittura solo musiche russe. È vero che tra questi c’erano anche alcuni aperti sostenitori di Putin, come possiamo immaginare che tra i membri di questa orchestra ci siano anche musicisti che non si pongono nessun problema di fronte al progetto di distruzione di un lembo di terra e del popolo che ci vive sopra. Ma non si può adottare questo metro semplificatore. Un concerto non è un atto di guerra, o almeno questo non lo era, anche se organizzato insieme all’associazione Svizzera-Israele, che certo equidistante non è. Detto ciò, bisogna anche dire che di fronte all’incommensurabile disastro che sconvolge la Palestina, e che non è certo finito con la fragile tregua che si va faticosamente sperimentando, è del tutto legittimo approfittare di ogni occasione per portare l’attenzione sul genocidio in atto (tra parentesi: per mestiere conosco bene la valenza del termine, come lo conosce la Corte penale internazionale, e non lo uso alla leggera). Lo si poteva fare, visto che il concerto era legato alla giornata della memoria, dicendo che ricordare doverosamente la Shoah implica anche ricordare gli altri genocidi, a maggior ragione quelli in atto, il che non implica affatto una relativizzazione della Shoah e della sua unicità (ogni genocidio è diverso, negli elementi scatenanti e nelle dinamiche, ma un genocidio resta un genocidio, anche quello di Szrebrenica che ha annientato “solo” ottomila persone). È anche un modo per tenere viva una commemorazione periodica che rischia, nella ripetitività ­che è propria di ogni giornata istituzionalizzata, di svuotarsi di senso.

Quindi non era il caso di gridare istericamente «assassini» a degli orchestrali (anche se molto probabilmente per una parte dei manifestanti si trattava, per usare una locuzione d’altri tempi, di dire a nuora perché suocera intenda) ma di sottolineare, in altre forme, che assistiamo anche oggi a una politica genocida, e che dire “mai più” ricordando la Shoah dovrebbe implicare “nemmeno oggi”, “nemmeno ad altri”. O invece di scrivere sullo striscione “Nessuna sinfonia per il genocidio” (Musorgskij! Šostakovič! Čajkovskij!) si sarebbe potuto semplicemente scrivere “anche oggi, sotto i nostri occhi, è in atto un genocidio”. E senza inveire contro chi entrava al concerto.

Ma, dicevo, a spingermi a scrivere è stata soprattutto una foto con un noto politico che entra gagliardamente nell'edificio con aria di sfida nei confronti di chi sta fuori a manifestare. Io al LAC non l’ho mai visto; non è che io sia di casa, ma da quando esiste ho un abbonamento alla stagione “OSI al LAC”, dove mi è capitato qualche volta di intravedere, tra i municipali (o ex) di Lugano, Giovanna Masoni, Roberto Badaracco, Cristina Zanini Barzaghi, Angelo Jelmini, oltre al defunto Marco Borradori (sono quelli che ricordo in questo momento, magari ho dimenticato qualcuno). Del resto avevo letto già giovedì sera, su «LaRegione» online, che al concerto «hanno assistito parecchi politici schierati di centro-destra». Il che fa concludere che una politicizzazione di quel concerto è stata costruita dalle due parti e si è trasformato quell’evento in un momento di rozza polarizzazione, dove agli estremi troviamo chi cancellerebbe cinicamente dalla faccia della terra tutti i palestinesi (certamente c’erano) e chi spazzerebbe via allegramente lo Stato di Israele (probabilmente alcuni manifestanti, certo non tutti). Eppure in tutto questo riesco a vedere qualcosa di positivo: se l’evento così malamente politicizzato ha portato per una volta dentro quel luogo persone che non ci sono mai state, e che magari sparano settimanalmente su LAC e kultura, bene. E che abbiano ascoltato, magari per la prima volta nella vita, la quinta di Čajkovskij, ancora meglio. C’è sempre tempo…

Finito questo intervento, leggo su «Naufraghi/e» (La guerra non può impedire di ricordare ma bisogna evitare che l’orrore si ripeta)* quanto ha scritto oggi su «La Stampa» Anna Foa, l’ebrea Anna Foa, la storica Anna Foa, intorno alla giornata della memoria. Ovviamente non parla di quel concerto, ma dice limpidamente alcune cose che penso, e che qui ho cercato, almeno in parte, di dire.

Danilo Baratti,

membro del Gruppo guerre e pace Verdi del Ticino

*https://naufraghi.ch/la-guerra-non-puo-impedire-di-ricordare-ma-bisogna-evitare-che-lorrore-si-ripeta/

 

Una sinfonia sulle macerie, scritto il 27 gennaio 2025, è uscito su «Naufraghi/e» il 28 gennaio e su «La Regione» il 30 gennaio

 https://naufraghi.ch/una-sinfonia-sulle-macerie/