Skip to main content

Una manifestazione stonata (2003)

Lettera al Comitato contro le guerre a proposito di una manifestazione contro la seconda guerra del Golfo, ma in generale su un certo tipo di manifestazione

Dichiarazione di fuga (dal Comitato contro le guerre)

 

Ho partecipato a due riunioni in cui si è espressamente discusso della manifestazione da tenersi il sabato successivo all'inizio della guerra.

1. Nella prima, al buffet della stazione di Lugano, non saprei dire esattamente quando, avevo espresso alcune perplessità sulle probabili modalità di svolgimento di quella manifestazione. In particolare avevo fatto notare come da qualche tempo vi fosse un processo di omogeneizzazione delle manifestazioni. Siano esse per l'affermazione dell'autogestione, per la difesa del servizio pubblico, contro la guerra o contro il WEF, il canovaccio è sempre lo stesso: camioncino con generatore che diffonde canzoni (del repertorio tradizionale della sinistra, combat-folk, ska, e poco altro), una serie di interventi che quasi nessuno ascolta, qualche slogan. Dicevo che nel caso di una manifestazione generata da una guerra in corso questa forma era inadeguata, che sarebbe stata più opportuna una presenza che rifuggisse da quel rito consolidato (e svuotato di senso, proprio a causa della sua ripetitività) e che sottolineasse diversamente (anche con la forza del silenzio) il rifiuto della logica di guerra. Queste osservazioni, mi pare, avevano ottenuto consenso.

2. Alla successiva riunione (macello, 18 febbraio), con la guerra ormai imminente, si ridiscute della manifestazione. Chi introduce il tema (M1) inizia dicendo, più o meno: «prima cosa importante, il furgone...». Al che io mi ritrovo a ripetere quanto detto la volta precedente, precisando che si può anche concepire la presenza di una colonna sonora della manifestazione, ma che allora bisognerebbe discutere insieme, darle un carattere diverso. Faccio, tra gli altri, l'esempio di un mio studente in gita scolastica a Roma che era stato colpito dall'uso contraddittorio di «Contessa» alla grande manifestazione del 15 febbraio. Propongo che almeno questa prima manifestazione (perché ce ne saranno certamente altre) abbia un carattere adeguato al senso di tristezza e di angoscia che inevitabilmente (ma forse è questo che non è vero! è qui che mi sbaglio!) incombe dopo lo scoppio di una guerra, di una guerra particolarmente assurda e gravida di conseguenze nefaste. Pur con qualche perplessità (di M1 e di M2), si decide una manifestazione silenziosa. Si decide anche di convocarla con un volantino molto stringato, che inviti semplicemente a scendere in piazza senza parole d'ordine (tranne il NO alla guerra) e senza analisi. 

3. Il giorno della manifestazione arrivo sul piazzale della stazione mentre risuonano le note di «La fabbrica» (sia detto di passata: ascolto e apprezzo gli Stormy Six fin dal 1977, e ho anche tentato di organizzare un loro concerto a Lugano). Poi «Contessa». Così, al suono di «e se questo è il prezzo, vogliamo la guerra», mi accingo a partecipare alla manifestazione con un disgusto che si somma all'altro, quello della guerra. Mentre ci avviciniamo a piazza Riforma gli altoparlanti diffondono musica da ballo. Sembra una festa. È una festa. Non ascolto i discorsi. Giunto in piazza mi dirigo sconsolato verso casa. (Vedo poi, per soprammercato, che anche il volantino non corrisponde a quello previsto).

4. So bene che lo svolgimento di una manifestazione è un dettaglio marginale rispetto alle enormità che dobbiamo sopportare in questi giorni. Però, in seno a un comitato che discute e decide come agire contro la guerra, non mi sembra un aspetto marginale o irrilevante. In primo luogo, senza scomodare McLuhan o gli scritti di Marx sull'arte, la forma parla del contenuto. Il rullo compressore che omogeneizza implacabilmente la forma delle manifestazioni (guerra, scuola, sindacato in un sol brodo) rivela la pratica prevaricatrice di chi tende a imporre il proprio progetto politico, attraverso «segni» di varia natura, sulla molteplicità in movimento.

In secondo luogo, se un gruppo di persone, benché informale, decide qualcosa, non mi pare accettabile che si faccia poi l'esatto contrario. Per questa ragione non parteciperò più a riunioni organizzative del Comitato contro le guerre. Non vorrei essere frainteso: il problema non è che si sia andati in una direzione diversa da quella che io proponevo (non mi sento né particolarmente importante né particolarmente lucido, soprattutto di questi tempi). Se il 18 febbraio si fosse detto che le mie erano preoccupazioni assurde, o cazzate, nessun problema. Volendo si può anche teorizzare una presenza vitale e festosa sulle strade come risposta alla guerra. Ma non è stato così.

5. Concludo facendo notare che parecchie persone che camminavano vicino a me in coda al corteo erano altrettanto stupite e infastidite dallo spirito e dalla colonna sonora di quella componente della manifestazione. Si sentivano molto a disagio, senza nulla sapere di quanto si era inutilmente discusso in comitato. Almeno di questo si potrebbe forse tener conto.

Danilo Baratti, 2 aprile 2003

pacifismo, guerre, 2003

  • Creato il .
  • Visite: 638