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Un Novecento cantato (2023)

Usare le fonti sonore a scuola. Un contributo alla pubblicazione collettiva L’insegnamento della storia oggi (Carocci, Roma 2023).

Ci sarà anche qualche risvolto metodologico tra le righe, ma questo contributo si presenta soprattutto come l’esposizione, forzatamente frammentaria, di un’esperienza didattica nata dall’interesse personale e dal piacere della pratica “artigianale” prima che da riflessioni o letture di natura teorica.

Fin dagli anni degli studi universitari guardavo con attenzione alla canzone a sfondo politico-sociale e al mondo del canto popolare, per esempio seguivo regolarmente le trasmissioni televisive e radiofoniche di Roberto Leydi alla RSI[1] (poi Leydi l’ho rivisto in carne e ossa e cattedra a Bologna, al suo corso di etnomusicologia). In casa, tra materiali miei e altri portati in dote dalla mia compagna, giravano molti dischi legati alla tradizione del canto popolare (che si andava ri/scoprendo fin dagli anni Sessanta ad opera dello stesso Leydi e del movimento del Nuovo canzoniere italiano) e alla nuova canzone politica (che si andava cantando soprattutto dai Settanta)[2]. Aggiungiamoci una forte attrazione per la canzone popolare latinoamericana, vecchia e nuova.

Era quasi naturale che questo interesse confluisse nelle mie lezioni di storia, tanto più che le fonti sonore, in questo caso “cantate”, permettono di avvicinare un tema in modo meno scontato e più coinvolgente. Suggeriscono inoltre riflessioni sulla produzione culturale “dal basso”, sui rapporti tra cultura popolare e cultura alta, sulla percezione popolare degli accadimenti storici, sul vissuto di protagonisti la cui voce si esprime più con il canto che con la scrittura. Prendiamo i canti di filanda, ideali per aprire il tema della prima industrializzazione nell’area prealpina: da canti come O mama mia tegnim a cà e Mama mia, mi sum stüfaemergono subito il lavoro minorile, il ricorso a manodopera prevalentemente femminile, di origine contadina, il rapporto con la macchina che detta il ritmo del lavoro, così diverso da quello rurale, l’insalubrità della fabbrica… Saranno poi altri documenti – regolamenti di fabbrica, relazioni di ispettori del lavoro, statistiche sanitarie, eccetera – a fornire un quadro più preciso di quella trasformazione. Ma c’è dell’altro, relativo alla fonte stessa: le due registrazioni che usavo in questo caso propongono due voci diverse, quella un po’ flebile di Angelina Brenna, nata all’alba del secolo e registrata a Cassago nel 1964, e quella più “studiata” di Sandra Mantovani che ci riporta al movimento del Folk revival italiano. Ecco che si può avviare un discorso sul lavoro etnomusicologico, la ricerca sul campo, le registrazioni e le forme della riproposizione in disco o in concerto. Le differenze che si riscontrano spesso tra i testi cantati e le trascrizioni portano poi a una riflessione sui caratteri propri della trasmissione orale. E il dialetto…

Facciamo un salto, non tanto di epoca ma di argomenti. Mi è capitato di entrare nel Novecento partendo dalla trilogia del Titanic di Francesco de Gregori, insieme ai versi di Enzensberger (La fine del Titanic) per portare lo sguardo sul mondo (occidentale) alla vigilia della Prima guerra mondiale. E qui compare anche la “canzone d’autore”. Dal Titanic si dischiudono molti discorsi: la grande migrazione (con i suoi canti), lo sviluppo della tecnica, la stratificazione di classe (della nave e della società), l’avvicinarsi del naufragio europeo preannunciato da quello della nave... E dal Titanic di De Gregori, volendo, anche il futurismo: «la nave è fulmine, torpedine, miccia, /scintillante bellezza, fosforo e fantasia, /molecole d’acciaio, pistone, rabbia, / guerra lampo e poesia»[3]. E per riprendere il primo spunto, quello dell’emigrazione, canti e canzoni offrono piste preziose per addentrarsi tra fattori di spinta e fattori di attrazione. Ma poi, di là dall’Oceano, ecco nascere un repertorio di canzoni dentro o per le Little Italy: un segmento di mercato della nascente industria del disco, non diversamente dai famosi race records indirizzati agli afroamericani.

Si affaccia qui la questione del supporto. Utilizzare le fonti sonore significa pure occuparsi della base materiale della circolazione di queste fonti, che a partire dal primo Novecento non si riduce più alla trasmissione orale, eventualmente accompagnata da fogli volanti, come nel caso dei cantastorie da fiera. Con il grammofono (a cui di lì a poco si affianca la radio) entriamo nell’epoca della musica riprodotta e consumata. Ho sempre cercato di portare l’attenzione anche su questo aspetto, non solo parlandone, ma anche utilizzando ogni tanto quegli stessi supporti: i 78 giri quando portavo canzonette dell’era fascista, i vinili originali (45 o 33 giri) quando ascoltavamo canzoni degli anni Sessanta, per introdurre la fisicità di quei materiali e aprire una riflessione sull’evoluzione tecnica, industriale, commerciale.

Gli accenni fatti fin qui toccano elementi che finiscono per essere centrali nell’uso didattico dei materiali “cantati” nelle lezioni di storia: il contenuto, le caratteristiche testuali, il contesto sociale e politico, le modalità di produzione/riproduzione. Non ho parlato della componente più strettamente musicale, che pure può (a volte deve) essere oggetto di altrettanta attenzione: per esempio trattando della relazione tra fascismo e jazz, tema fertile perché chiama in causa l’autarchia culturale del regime, la sua politica razziale e coloniale, i rapporti con la Germania nazista, lo sviluppo del mercato discografico, l’evoluzione e l’internazionalizzazione del gusto. In quel contesto una canzonetta “swingata” come Crapa pelada di Gorni Kramer può risultare fastidiosa per le presunte allusioni politiche e per le scelte musicali “esterofile” che ammiccano alla musica “giudea” e “negroide”, e No jazz, uno slow cantato da Natalino Otto, diventa un ironico gesto di sfida al regime.

Dopo questa prima parte un po’ a balzelloni, riprendo in forma panoramica il percorso storico nel Novecento, costruito intorno alle fonti cantate, che ho proposto una prima volta alla Scuola Cantonale di Commercio (ancora sul finire del secolo scorso, nella forma di corso facoltativo annuale) e poi al Liceo, nell’ambito più appagante dell’opzione complementare (corso biennale che vede due ore settimanali in terza e due in quarta)[4]. Questa era l’introduzione:

Il corso si propone di affrontare temi e momenti della storia del Novecento (e di fine Ottocento) partendo da canti popolari, canzoni “d’autore” e canzonette. Al tradizionale canto popolare della civiltà preindustriale, nel Novecento si affiancano altre forme della comunicazione cantata: la riproducibilità tecnica della musica – con la diffusione dei dischi a 78 giri all’inizio del secolo, della radio negli anni ’30, del microsolco a 45 giri negli anni ’50, e poi del 33 giri – genera una vera rivoluzione. Nascono le industrie discografiche, si sviluppa un mercato sempre più importante. Negli anni Trenta, quando il grammofono è diffusissimo e la radio entra in molte case, i governi cominciano a sfruttare la straordinaria potenzialità della musica riprodotta. Leggere alcuni momenti della storia del Novecento utilizzando come documenti le canzoni significa anche riflettere sulle caratteristiche della «società di massa», sui mec­canismi di creazione del consenso e di trasformazione dell’immaginario collettivo. Questo particolare percorso dentro il Novecento permette di trattare eventi e problemi normalmente trascurati, per forza di cose, dal normale curricolo quadriennale di storia o di approfondirli secondo un’altra prospettiva conoscitiva. Le fonti permettono infatti un approccio diverso, attento di volta in volta alle forme della comunicazione sociale, ai suoi strumenti, alla percezione soggettiva (del singolo o di un gruppo sociale) degli avvenimenti storici. L'attività prevalente sarà quella dell'ascolto critico e della discussione intorno ai testi delle canzoni (con un orecchio rivolto anche alle forme musicali). Sui temi affrontati saranno distribuite schede di approfondimento e indicazioni bibliografiche. La lettura di materiali storiografici in senso stretto sarà integrata con testi letterari, con qualche film e, per lo sguardo sul presente, anche con altri strumenti. Lo studente si confronterà quindi con la ricchezza e la varietà delle fonti su cui lo storico sociale del Novecento può lavorare.

E questa è l’articolazione dei temi che avevo proposto per il primo anno (qua e là aggiungo tra parentesi qualche indicazione in più): L'emigrazione europea nelle Americhe (con un’escursione alle origini del tango e un’altra nelle Little Italy, passando poi alla vicenda di Sacco e Vanzetti con il film di Montaldo e le canzoni di Guthrie) – Dai campi alla fabbrica: la trasformazione industriale (partendo dai canti di filanda) – L’esperienza del soldato nella prima guerra mondiale (con frammenti di Orizzonti di Gloria di Kubrick) – Il Dust Bowl e il New Deal nelle canzoni di Woody Guthrie (con lettura di parti di Furore di Steinbeck e un salto in avanti: The Gost of Tom Joad di Bruce Springsteen) – Canzonette e consenso: le canzoni dell’Italia fascista (tema introdotto con il film di Ettore Scola Una giornata particolare e poi scandito i quattro parti. Duce tu sei la luce: le marcette del regime; Africanina: il razzismo coloniale in canzonetta; Crapa pelada: il regime, la radio e il jazz; le canzoni di Rodolfo de Angelis) – Guerra e Resistenza in Italia[5] (con una coda sulla ripresa di riferimenti resistenziali nei decenni successivi, da Per i morti di Reggio Emilia di Amodei a Fascisti in doppiopetto di Assalti frontali, passando per il concept album degli Stormy Six Il biglietto del tram).

Per il secondo anno, centrato sugli anni Sessanta, ecco, con meno dettagli, i temi trattati: Nuovi costumi, nuovi consumi: modelli e simboli dell'insofferenza giovanile – Dal rock&roll al beat: la musica come collante generazionale – Tensioni razziali negli USA: diritti civili o black power? (con un passo all’indietro: da Marcus Garvey e dalla Harlem Renaissance, passando per Strange Fruit cantata da Billie Holiday e dalla Freedom now suite di Max Roach per arrivare al free jazz) – La rivoluzione cubana e la mitizzazione del “Che” (partendo dal film di Richard Dindo Ernesto Che Guevara, il diario della Bolivia) – La crisi dei missili di Cuba e l’incubo nucleare – Il Sessantotto in Francia e in Ticino (a partire dalle affiches dell’École supérieure des Beaux-Arts, con uno sguardo anche su Praga e Città del Messico) – Il rock tra contestazione e mercato: il caso di Woodstock – L’Italia dal miracolo economico al Sessantotto: Sanremo e la rivoluzione.

In chiusura: io mi divertivo (perdendoci un sacco di tempo) a recuperare materiali utili e poi a trasferirli da un supporto all’altro, raccogliendoli inizialmente su cassette audio, poi sui più versatili minidisc, più recentemente sul computer. Ora è tutto più semplice e veloce, il materiale a portata di clic è sterminato. Viene a mancare quasi del tutto la fisicità (dell’oggetto, della sua riproduzione) ma è pur sempre un lavoro appassionante.

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Non una bibliografia organica ma qualche indicazione di studi e raccolte per dare un’idea, senza nessuna pretesa sistematica:

Cesare Bermani, «Guerra guerra ai palazzi e alle chiese». Saggi sul canto sociale, Odradek, Roma 2003.

Gianni Borgna, Storia della canzone italiana, Laterza, Roma-Bari 1985.

Franco Castelli, Emilio Jona, Alberto Lovatto, Senti le rane che cantano. Canti e vissuti popolari della risaia, Donzelli, Roma 2005.

Liana Cellerino, C. A. Bixio. Parlami d’amore Mariù, Le Lettere, Firenze 2001.

Luca Cerchiari, Jazz e fascismo. Dalla nascita della radio a Gorni Kramer, L’Epos, Palermo 2003.

Umberto Fiori, Joe Hill, Woody Guthrie, Bob Dylan. Storia della canzone popolare in Usa, Mazzotta, Milano 1978.

Meri Franco-Lao, Donna canzonata, Newton Compton, Roma 1979.

Gioachino Lanotte, Cantalo Forte. La Resistenza raccontata dalle canzoni, Stampa alternativa, Viterbo 2006.

Alessio Lega (a cura di), L’anarchia in 100 canti, Mimesis, Sesto S. Giovanni 2023.

Alessio Lega (a cura di), La resistenza in 100 canti, Mimesis, Sesto S. Giovanni 2022.

Roberto Leydi, I canti popolari italiani, Mondadori, Milano 1973.

Roberto Leydi, La canzone popolare, in Storia d’Italia, vol. 5**: I documenti, Einaudi, Torino 1973, pp. 1181-1249.

Stefano Pivato, Bella ciao. Canto e politica nella storia d’Italia, Laterza, Roma-Bari 2005.

Stefano Pivato, La storia leggera. L’uso pubblico della storia nella canzone italiana, Il Mulino, Milano 2002.

Alessandro Portelli, Bob Dylan, Pioggia e veleno. «Hard Rain», una ballata fra tradizione e modernità, Donzelli, Milano 2018.

Alessandro Portelli, Canzone politica e cultura popolare in America. Il mito di Woody Guthrie, Derive/Approdi, Roma 2004.

Virgilio Savona, Michele Straniero, Canti dell’emigrazione, Garzanti, Milano 1976.

Virgilio Savona, Michele Straniero, I canti dell’Italia fascista (1919-1945), Garzanti, Milano 1979.

Jacopo Tomatis, Storia culturale della canzone italiana, Il Saggiatore, Milano 2019.

Giuseppe Vettori (a cura di), Canzoni italiane di protesta, 1794-1974, Newton Compton, Roma 1974.

Alcuni materiali sonori: 

Fonografo italiano 1890-1940. Raccolta di vecchie incisioni scelte e presentate da Paquito del Bosco, pubblicate da Fonit-Cetra a partire dal 1979 (50 LP, e altrettanti CD, a impostazione tematica).

Il notevole patrimonio della storica etichetta Dischi del Sole è stato riproposto (in edicola) nel 1997-1998 dall’editrice Hobby and Work: Avanti Popolo. Due secoli di canti popolari e di protesta civile, 12 CD con altrettanti fascicoli (complessivamente 248 pp.) curati dall’Istituto Ernesto de Martino, con testi di Bruno Cartosio e Cesare Bermani.

Nuovo canzoniere italiano, Il bosco degli alberi. Storia d’Italia dall’Unità ad oggi attraverso il giudizio delle classi popolari, Ala Bianca/Bella Ciao 2019, CD con libretto di 11 pagine (I edizione: Edizioni del Gallo, I Dischi del Sole  1972)

Un sito ricco di spunti è www.antiwarsongs.org  (canzoni contro la guerra , ma vi si trova molto altro: la denominazione intesa in senso lato); pure utile, tra altri, www.ildeposito.org

Danilo Baratti (1954) è stato docente di storia in varie scuole del Canton Ticino. Si è occupato di storia sociale e religiosa dell’Antico Regime (Lo sguardo del vescovo, 1989; tre capitoli della Storia della Svizzera italiana dal Cinquecento al Settecento, a cura di R. Ceschi, 2000). Con Patrizia Candolfi ha indagato lungamente la vita e l’opera di Mosè Bertoni, naturalista svizzero emigrato in Paraguay (L’Arca di Mosè, 1994; Vida y obra del sabio Bertoni, 1999 e 2019; Dalle Alpi al Paraná, 2021). Sempre con Patrizia Candolfi ha curato l’autobiografia di Guido Rivoir (Le memorie di un valdese, 2012). Gli è capitato già una volta di toccare l’insegnamento della storia, in un omaggio a Raffaello Ceschi: La dimensione narrativa della storia, «Archivio storico ticinese», n. 161, giugno 2017.

 

Questo è il dattiloscritto (con un paio di aggiornamenti bibliografici) preparato per L’insegnamento della storia oggi. Didattica e storiografia per le scuole superiori, a cura di Sonia Castro, Giancarlo Gola e Rosario Talarico, Carocci, Roma 2023, pp. 259-263.

Versione elettronica dell’intero volume scaricabile gratuitamente qui: https://www.carocci.it/prodotto/linsegnamento-della-storia-oggi

 

[1] Alcune puntate di «Enciclopedia TV» ma soprattutto il programma radiofonico settimanale «Sentite buona gente», che Leydi ha curato dal 1977 al 1991, e più tardi «Altre onde» e «Canzoni sopra il rigo». Su Roberto Leydi e la sua eredità vedi Giulia Giannini, Uno strumento di memoria orale. Le trasmissioni di Roberto Leydi per la Radiotelevisione della Svizzera italiana, «Archivio storico ticinese», n. 168, dicembre 2020.

[2] In vinile, ovviamente: i Dischi del Sole, quelli di Lotta continua, la collana Albatros (tra cui i Documenti di cultura popolare editi dalla Regione Lombardia), i Dischi dello Zodiaco, Le chant du monde di Harmonia mundi, la serie Fonografo italiano 1890-1940 della Fonit-Cetra… e parecchio altro.

[3] I muscoli del capitano. Futurismo abbinato – nella citazione musicale che si avverte fin dall’inizio, e che poi diventa esplicita – a un noto canto popolare di emigrazione, Il tragico affondamento del bastimento Sirio.

[4] Avevo dato il titolo Storia cantata alla SCC e Il Novecento nelle canzoni al Liceo. In forma più episodica proponevo documenti sonori anche nel normale corso quadriennale di storia: per esempio i canti della rivoluzione francese, o un percorso da Haydn a Verdi che portava, un po’ schematicamente, “dalla musica per il Principe alla musica per la Nazione”, un altro che trovava nelle musiche popolari dell’America latina le tracce della sua storia coloniale. E ancora alcuni inni nazionali, i già ricordati canti di filanda, le marce e gli inni del regime fascista.

[5] Già negli anni Ottanta avevo sperimentato un percorso sonoro “Fascismo, guerra e Resistenza”, imbastito su canzoni e discorsi, in quarta media.

 

Versione elettronica dell’intero volume scaricabile gratuitamente qui: https://www.carocci.it/prodotto/linsegnamento-della-storia-oggi

scuola, storiografia, 2023, Novecento

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