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Una mostra per Bixio Candolfi (2020)

A proposito della mostra «Da Comologno al mondo. Bixio Candolfi senza confini. Omaggio a cento anni dalla nascita (1919-2019)»

Intervento all'inaugurazione della mostra, Biblioteca cantonale di Lugano, 25 novembre 2019 (pubblicato in «Cartevive» n. 60, marzo 2020)

    Abbiamo appena visto il frammento di un servizio televisivo (1) sul Festival del Cinema di Locarno del 1964, che mette in evidenza un momento importante dell’attività di Bixio Candolfi: quello di responsabile di Cinema e Gioventù (è lì, tra l’altro, e forse proprio in quell’anno, che Candolfi ha conosciuto la giovane Bianca Pitzorno). Come altri documenti audio-video si può rintracciare sul sito di storia partecipativa Lanostrastoria.ch, che ha allestito un percorso parallelo a quello della mostra. Ma di questo riparlerò più avanti, solo dopo aver detto alcune cose sull’esposizione che inuguriamo oggi.

    La mostra è formalmente legata alla scadenza dei cent’anni dalla nascita e allora comincio il mio intervento con questo aneddoto: negli ultimi tempi Bixio Candolfi, che pure aveva perso altri agganci con la realtà, aveva sempre ben fermo il valore simbolico di quel numero, e quando si parlava della sua età diceva sempre «mi piacerebbe arrivare a cent’anni come il Papón». Ma, come sappiamo, Candolfi ha superato di poco i novantanove. Il Papón, che di nome faceva Paolo, era suo bisnonno. Un longevo abitante dell’alta valle Onsernone, di cui conserva memoria anche un toponimo: la Carabóta dal Papón, dalle parti del Passo del Büsan, dove c’era la cascina sotto le rocce in cui d’estate Paolo Candolfi portava le sue capre. Nella memoria famigliare e popolare la sua longevità si era incarnata nel numero 100, eppure alcuni documenti venutimi tra le mani proprio rovistando tra le carte di Bixio Candolfi mostrano che questo antenato quasi mitico, nato secondo gli atti il 21 gennaio del 1805 e morto il 24 novembre 1903, non sarebbe nemmeno arrivato ai 99 anni. Una prima conclusione è questa: Bixio Candolfi è campato più del mitico Papón. La seconda è che ancora una volta si vede come la memoria, individuale o collettiva, possa essere fallace e vada confrontata con i documenti.

    L’idea di questa mostra nasce direttamente dai documenti, nel senso che non la si è progettata in astratto andando poi a scovare i materiali necessari, ma sono state le carte stesse – conservate disordinatamente da Bixio Candolfi e che stavo radunando poco a poco – a suggerire la possibilità concreta di un’esposizione. Così ne ho parlato con il direttore della biblioteca e la cosa è partita. Ho poi saputo che l’idea di fare qualcosa su Bixio Candolfi era venuta anche ai vertici della divisione della cultura e, prima ancora, all’Archivio Prezzolini, il cui fondo Candolfi era però, a quel momento, troppo ristretto per realizzare un’esposizione documentaria come questa. Una curiosa e felice convergenza di intenti, che ci vede infine qui allo stesso tavolo a inaugurare la mostra.

    In questi appuntamenti culturali in biblioteca la maggior parte del pubblico è spesso in là con gli anni, e nel nostro caso, che non fa eccezione, ci sono due spiegazioni in più. Di uno scrittore o di un saggista restano i libri, che si continuano a leggere e studiare, di un cineasta restano i film che tornano in qualche retrospettiva, il volto di un presentatore televisivo si fissa per anni nella memoria. Bixio Candolfi non si è distinto per una produzione culturale diretta: ha scritto ma non è uno scrittore, ha creato e promosso programmi radiofonici e televisivi ma non è una voce della radio o un volto televisivo, ha promosso il cinema ma non è un cineasta. È quindi comprensibile che al di fuori di chi l’ha conosciuto personalmente e professionalmente, il suo nome ora dica poco. E chi l’ha conosciuto ha ormai una certa età.

    Il nome di Bixio Candolfi, che pure è morto nemmeno un anno fa, richiama poi un’epoca che è lontana non solo per gli anni trascorsi: il mondo che l’ha visto attivo per una quarantina d’anni – quello radiotelevisivo – è cambiato profondamente, e credo malamente, trasformandosi sempre più da stimolante fucina creativa in azienda produttiva poco attenta alle relazioni interpersonali. E si è passati sempre più – so di semplificare rozzamente, ma è per illustrare una tendenza – dall’intrattenimento formativo del cittadino alla soddisfazione del cliente. Con questo non voglio dire che il cambiamento abbia necessariamente a che fare con il pensionamento di Bixio Candolfi: ben altre dinamiche, di portata planetaria e non legate alle singole persone, hanno modificato in questi trentacinque anni la società e con essa l’ente radiotelevisivo. Dinamiche già ben percepibili nel 1984, quando Candolfi è andato in pensione. Possiamo almeno supporre che Candolfi avrebbe offerto un po’ più di resistenza.

    La mostra, oltre ad essere un omaggio a una persona che ha lavorato sodo – come ha scritto Giovanni Orelli – per «migliorare il cosiddetto “linguaggio della tribù”, cioè migliorare la convivenza civile nel paese», è quindi anche un viaggio, benché minimo e frammentario, nel periodo che va dalla seconda guerra mondiale alla metà anni Ottanta, e in particolare nella produzione radiotelevisiva di questo quarantennio: schegge di una radio appena uscita dalla sua adolescenza e di una televisione agli albori, ma poi anche – nell’epoca in cui Candolfi passa a ruoli dirigenziali – di un ente che ha raggiunto la piena maturità.

    Le prime bacheche toccano quattro aspetti centrali dell’attività radiofonica del collaboratore esterno Bixio Candolfi (che fino al 1967 era insegnante di tedesco alla Scuola commerciale di Chiasso):

  • la stesura di radiodrammi (testi originali e adattamenti di classici o di film); 
  • l’organizzazione di cicli di lezioni radiofoniche, che rientrano in un progetto, non realizzato pienamente, di università popolare; 
  • la nota e celebrata trasmissione La Costa dei barbari, dedicata al buon uso della lingua italiana; 
  • la collaborazione a Radioscuola.

    Il teatro radiofonico mi pare un elemento generalmente trascurato da chi ha studiato la programmazione radiofonica della radio degli anni ’40-’50, e quindi i frammenti di copione qui presentati potrebbero costituire uno stimolo in tal senso, oltre a mostrare il fervore drammaturgico di Bixio Candolfi.

    Più nota – di recente ne ha parlato Nelly Valsangiacomo nel suo Intellettuali al microfono (2) – è la sua attività di organizzatore dei corsi serali e dei corsi di cultura, che ha come importante corollario esistenziale la rete di relazioni intessute da Bixio Candolfi con gli intellettuali italiani chiamati per queste lezioni radiofoniche: e qui basta fare qualche nome – Vittorio Sereni, Carlo Bo, Giuseppe Ungaretti, Ettore lo Gatto, Aldo Borlenghi – per misurarne lo spessore. Un aspetto, questo, già ben evidente nel primo catalogo del Fondo Candolfi, consegnato all’Archivio Prezzolini della Biblioteca cantonale di Lugano all’inizio degli anni Novanta (e a cui si si sono aggiunti nel 2018, come si è detto, una gran quantità di altri documenti).

    Quanto alla Costa dei Barbari – certo il capitolo più noto dell’attività radiofonica di Bixio Candolfi – segnalo una curiosità tra i materiali esposti in mostra: un giallo Mondadori del 1956 intitolato Costa dei Barbari, ritrovato tra i libri di Candolfi. Magari è stato questo prodotto minore a suggerire il titolo della trasmissione, sovrapponendosi a Barbaro dominio di Paolo Monelli, più attinente al tema e già richiamato da Mario Agliati come possibile fonte di ispirazione (ma La Costa dei Barbari è anche un film del 1935, diretto da Howard Hawks, certamente conosciuto dal cinefilo Candolfi) (3). Nelle vetrine del piano inferiore sono esposti alcuni tra le centinaia di testi relativi alla lingua che Bixio Candolfi, alias Franco Liri, ha usato decennio dopo decennio per preparare le puntate settimanali della Costa. Dopo averne fatto l’elenco in vista della consegna alla Biblioteca cantonale, non posso fare a meno di immaginare, quando mi trovo in una libreria, quali sarebbero state le nuove entrate di questa “biblioteca della Costa”: per esempio, dell’annata 2019, certamente Potere alle parole. Perché usarle meglio di Vera Gheno, Il sentimento della lingua di Luca Serianni, Brevi lezioni sul linguaggio di Federico Faloppa, La nostra lingua italiana di Valeria della Valle e Giuseppe Patota, ma anche La neolingua dell’economia di Jean Paul Fitoussi (che difficilmente gli sarebbe servito per la Costa, ma che avrebbe sfogliato con curiosità).

    Le bacheche dedicate all’uomo di radio, compresa quella di Radioscuola, sono otto, mentre quelle dedicate al Candolfi televisivo, che pure comprende un ventennio di attività, sono soltanto due. La sproporzione ha due spiegazioni. Da un lato il passaggio dall’epoca delle macchine per scrivere meccaniche e della carta carbone a quella delle macchine elettriche e delle fotocopie porta a un cambiamento sostanziale della fisicità dei documenti, che tendono a perdere “forza espositiva”. Dall’altro il passaggio di Candolfi a ruoli dirigenziali (dal 1967 è alla testa del Dipartimento cultura e dal 1977 è direttore dei programmi), cambia la natura del suo lavoro, non più centrato sulla creazione diretta di prodotti radiotelevisivi ma sulla redazione di indirizzi programmatici, di relazioni annuali, di considerazioni legate a riforme strutturali. Documenti importanti per chi studia l’evoluzione dell’ente radiotelevisivo ma non così facili da mettere in mostra. Eppure anche nelle bacheche televisive – in particolare nella seconda, che presenta una parte delle molte lettere scrittegli dai dipendenti TSI al momento del pensionamento – emerge fortemente la dimensione umana, che è forse il tratto più irrecuparabile della televisione di quegli anni.

    Le vetrine nel corridoio qui accanto ripercorrono invece altri aspetti della vita e della produzione di Bixio Candolfi, che non mi soffermo a descrivere perché già lo fanno i documenti stessi e i pannelli che li accompagnano. Né voglio togliere tempo ai due ospiti della serata.

    Chiudo prima di tutto con un grande ringraziamento a Diana Rüesch e Karin Stefanski dell’Archivio Prezzolini, che hanno concretamente messo assieme la mostra curandone i dettagli, e poi con la segnalazione del sito citato all’inizio, che ospita un dossier costruito da Lorenzo De Carli in occasione di questa mostra. Prima di cedere la parola a Silvano Toppi possiamo rientrare velocemente nel sito e vedere così un altro spezzone dalle teche della RSI (4). 

 

Note 

(1) Si veda https://lanostrastoria.ch/entries/Ra67jaRYAJx (da –2’17” a –0’50”).

(2) Nelly Valsangiacomo, Intellettuali al microfono. Intellettuali italiani alla Radio svizzera (1930-1980), Bellinzona, Casagrande, 2015, in particolare le pp. 87-99.

(3) Nell’ordine: John Ross Macdonald, Costa dei barbari (Milano, Mondadori, 1956); Paolo Monelli, Barbaro dominio (seconda edizione riveduta e ampliata, Milano, Hoepli, 1943); Il Conte Carlo [Mario Agliati], Finita la «Costa dei barbari», “Il Cantonetto” (settembre 1981). «Nome vagamente salgariano», annota ancora Agliati.

(4) https://lanostrastoria.ch/entries/J5N78PvQ7k6 (dall’inizio a –3’55”).

 

Danilo Baratti (Lugano, 1954), storico, già docente al Liceo cantonale di Lugano 1, si è occupato di storia sociale e religiosa con Lo sguardo del vescovo. Visitatori e popolo in una pieve svizzera della diocesi di Como: Agno, XVI-XIX sec. (Comano, Alice, 1989) e con tre contributi alla Storia della Svizzera italiana italiana dal Cinquecento al Settecento curata da Raffaello Ceschi (Bellinzona, Edizioni dello Stato, 2000).

Da oltre trent’anni si interessa alla vita e agli studi di Mosè Bertoni, su cui ha pubblicato L’arca di Mosè. Biografia epistolare di Mosè Bertoni 1857-1929 (Bellinzona, Casagrande, 1994), Vida y obra del sabio Bertoni. Un naturalista suizo en Paraguay, (Asunción, Servilibro, 2019) – entrambi con Patrizia Candolfi – e Fare libri nella selva. Mosè Bertoni e la tipografia ex Sylvis («Quaderni bleniesi» n. 6, 1999), oltre a vari saggi e articoli. Sempre con Patrizia Candolfi ha curato l’autobiografia di Guido Rivoir, Le memorie di un valdese (Bellinzona, Fondazione Pellegrini-Canevascini, 2012).

 

(Danilo Baratti , Una mostra per i cento anni di Bixio Candolfi, «Cartevive» n. 60, marzo 2020 – Da Comologno al mondo. Bixio Candolfi senza confini. Omaggio a cento anni dalla nascita, 1919-2019 – pp. 6-11).

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