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Quando cadevano gli Hunter (2012)

Un bel documentario di Olmo Cerri ispirato da un libro di Anna Ruchat

Quando cadevano gli Hunter. Un bel documentario di Olmo Cerri

di Danilo Baratti

Mio padre è caduto il 25 ottobre del 1960, alle 15.55 di una giornata senza nuvole, per un guasto tecnico al propulsore dell’Hunter sul quale volava. È morto anche lui in questa piccola guerra senza battaglie che è durata, in Svizzera, per tutto il secolo scorso e che prosegue, quatta quatta, anche oggi (Anna Ruchat, Volo in ombra, p. 53) 

 

È stato lanciato pubblicamente il 20 ottobre, e poi passato su TSI la1 la sera del 25, il documentario Volo in ombra di Olmo Cerri. Olmo ha realizzato questo film come lavoro di diploma al CISA di Lugano, ispirandosi a un recente libriccino di Anna Ruchat dallo stesso titolo. La leggerezza del libro, una settantina di pagine, è inversamente proporzionale al peso della storia: Anna Ruchat, scrittrice e traduttrice, è figlia di un pilota militare morto il 25 ottobre del 1960, in un tentativo di atterraggio d’emergenza, quando lei aveva dieci mesi. Le ci sono voluti cinquant’anni (e non solo a causa del tempo legale di desecretazione dei documenti) per affrontare e portare alla luce del sole, per lei prima che per gli altri, quel volo in ombra. Soprattutto per liberarsi, dice nel documentario, di «un ruolo di vittima» che non le interessa. Sulle ragioni di questi tempi lunghi non c’è che da rimandare il lettore al bel libro e al film: la relazione dell’autrice con quell’avvenimento traumatico è al centro dell’uno e dell’altro – il film continua e in parte conclude il percorso avviato nel libro – ma non è su questo che voglio concentrarmi, in queste pagine del Gruppo per una Svizzera senza esercito. Mi limito a sottolineare, ma l’hanno già fatto in molti, la misura con cui Olmo ha saputo trattare questo delicato aspetto centrale.

Ci sono altri due protagonisti in questa storia: il pilota caduto e il suo aereo militare. Il pilota è un giovane ingegnere, di origine romanda ma residente in Ticino, che proprio quel giorno aveva deciso, dando seguito alle richieste della moglie, di abbandonare l’aviazione. L’aereo è un Hunter MK 58. Fa parte marginalmente anche della mia vita, perché prima di rifiutare il servizio ero incorporato nella contraerea, e negli anni Settanta-Ottanta gli Hunter volavano ancora allegramente (accanto ai più recenti Mirages, che però non vedevamo mai). Il fatto di essere occupato in cucina non mi risparmiava né il rumore al decollo e all’atterraggio, né la vista frequente della loro sagoma inconfondibile (del resto imparavamo a distinguerle, le sagome, dei velivoli amici e di quelli nemici, in soporifere “teorie” e su appositi manualetti). Sono stati messi definitivamente fuori servizio solo nel 1994. All’epoca dell’incidente, l’aereo era da poco in dotazione dell’esercito svizzero. Leggo sul sito ufficiale delle forze aeree svizzere: «il tipo di aereo prescelto era considerato un prodotto d’avanguardia dagli specialisti dell’epoca. Il 29 gennaio 1958 le Camere Federali decisero di acquistarne 100 esemplari (compreso il materiale di riserva e le munizioni) direttamente dal costruttore con una spesa complessiva di 313 milioni di franchi. La consegna e il trasferimento dei primi apparecchi dall’Inghilterra in Svizzera iniziò già in aprile (1958). Con ciò erano date le premesse per una rapida riconversione dei piloti e del personale tecnico, e nel giro di un anno il nostro esercito disponeva già di cinque squadriglie addestrate per essere impiegate sugli Hunter. All’epoca questi velivoli che nel nostro Paese recavano la designazione “Mk 58” venivano impiegati sia nell’ambito del combattimento al suolo sia in quello aereo. In entrambi i casi diedero prova di elevata sicurezza operativa, efficacia e idoneità all’impiego nell’ambito di un esercito di milizia». Già Anna Ruchat introduce nel libro qualche informazione sui numerosi incidenti aerei militari di quegli anni, e accenna alla «guerra senza battaglie» che ancora «quatta quatta» ci accompagna, ma è soprattutto il documentario di Olmo a proseguire l’indagine in questa direzione.

Il sito ufficiale delle forze aeree svizzere non nega i numerosi incidenti: «Nel corso degli anni, purtroppo, si verificarono anche degli incidenti dovuti a cause diverse. Nella maggioranza dei casi queste disgrazie erano tuttavia imputabili a un errore umano. 30 dei 160 velivoli acquistati andarono persi in occasione di incidenti (...) che costarono la vita a 15 piloti, mentre gli altri 13 riuscirono a salvarsi grazie al sedile eiettabile» (André Ruchat, inutile dirlo, è uno dei 15). Il regista, avvalendosi di interviste a persone competenti, affronta le cause profonde di questi incidenti «imputabili a un errore umano» scavando nel contesto storico che li ha prodotti. L’«errore umano» diventa allora figlio di un preciso clima e di precise scelte politiche e militari. Riprendo alcuni frammenti di quegli interventi. Dice Giorgio Iacuzzo, giornalista scientifico e aeronautico: «la tragedia che è successa ad André Ruchat per conto mio rientra in situazioni che erano molto comuni in alcuni paesi europei all’indomani della seconda guerra mondiale, dove le popolazioni vengono tenute in costante terrore di un’invasione dall’Est». Un’epoca segnata da «enormi acquisizioni di armamenti, e in questo caso di aerei» e da conseguenti «urgenti inquadramenti di personale tecnico e di piloti; tutto questo fatto in fretta poi ha portato in Italia, in Germania, in Svizzera a una serie di decine e centinaia di incidenti, anche mortali». Lo storico Mauro Cerutti conferma che tutto era orientato all’ipotesi di un’invasione da Est, fino ad accarezzare l’idea di costruire una bomba atomica svizzera in funzione antisovietica, un clima peraltro alimentato dalle fabbriche di armamenti. Secondo lo storico e pilota militare Hans-Ulrich Jost, «le Hunter a été acheté dans un moment où on était dans un impasse puisque, comme un peu aujourd’hui, on avait trop d’avions, trop d’avis différents, trop de groupes qui n’étaient pas d’accord sur le type d’avion, et c’est à ce moment là que le conseil fédéral a décidé d’acheter un certain nombre de Hunter qui étaient sur le marché, qui n’étaient pas trop chèrs (...) parfois un choix d’avions qui n’étaient pas appropriés». Ancora Cerutti: «non so in che misura la Svizzera servì per i fabbricanti inglesi da test, da banco di prova per questi aerei, che non erano così pronti, così perfezionati quando furono venduti alla Svizzera». E perché aver scelto l’Hunter, quando oltretutto un fabbricante svizzero stava sviluppando il promettente progetto di aereo supersonico P-16? Una risposta sta nella voce «Gran Bretagna» del Dizionario storico della Svizzera, che ricopio senza sciogliere le abbreviazioni: «Nonostante la rigida neutralità adottata dopo la fine della seconda guerra mondiale, l'integrazione della Svizzera con il blocco occidentale si manifestò con prudenti contatti militari con la G., membro della NATO, e in una massiccia cooperazione in materia di armamenti, che fece della G. il principale fornitore di materiale bellico della Svizzera. Nel 1950 cominciò l'addestramento delle prime squadriglie della forza aerea sviz. sulla prima serie, appena consegnata, di 75 caccia a reazione britannici Vampire. Nel 1951 le Camere fed. autorizzarono per 175 milioni di frs. l'acquisto di 150 cacciabombardieri Venom. I Vampire furono sostituiti nel 1958 da nuovi aerei da combattimento del tipo Hunter. Il sistema di intercettazione e difesa antiaerea Bloodhound fu ordinato nel 1961 e consegnato alla truppa nel 1964 (fu impiegato fino al 1999); seguì nel 1980 il sistema missilistico Rapier». Cooperazione con uno dei pilastri dell’Alleanza atlantica, quindi, nel quadro della guerra fredda.

E tornando al frettoloso «inquadramento di personale tecnico e piloti» di cui parla Iacuzzo, sono significativi alcuni altri dati emersi dal documentario: Fulvio Martinetti, capomeccanico dell’esercito, evidenzia le contraddizioni presenti nei manuali, che in tedesco dicevano una cosa e in francese un’altra. E André Ruchat aveva sugli Hunter solo 24 ore di volo (un «training superficiale», come quello di altri suoi colleghi), ed era al suo primo corso con quella squadriglia. È giunto alla virata che precede l’atterraggio con poco carburante, troppo poco per alimentare il motore in quella particolare posizione. Problemi segnalati fin dall’introduzione del velivolo, ma le procedure ad hoc si trovavano in rapporti probabilmente poco consultati dai piloti. Forse Ruchat non le conosceva bene, forse le ha solo dimenticate, in quel momento estremo. O ha immaginato altre soluzioni, un altro finale. Questo non si sa. Si sa però che dopo il suo incidente è stato modificato il regolamento, con la prescrizione di una quantità minima di litri all’atterraggio. Si sa anche che il suo libretto di volo è stato misteriosamente alterato, con l’aggiunta di due voli fuori tempo, successivi all’incidente: inspiegabile errore o manipolazione per mascherare un deficit di preparazione?

Al di là della vicenda individuale, ci sono scelte collettive, politiche: quell’aereo e quella scarsa preparazione vanno ricondotti al clima di guerra permanente alimentato in quegli anni dalla realtà dei due blocchi, dai poteri politici, dai vertici militari e dagli interessi delle industrie di armamento. È ciò che emerge, accanto a una tormentata storia personale, dal bel documentario di Olmo, che porta un utile contributo anche alla conoscenza storica.

Ho parlato dei dati, dei fatti, delle analisi. Manca un accenno all’insopportabile retorica della religione patriottica che accompagna ogni nazionalismo armato. Emerge anche quella, qua e là, come nella lettera inviata il primo giugno 1961 dal colonnello Zuber ai genitori del pilota: «J’espère néanmoins que votre famille et vous-même éprouvez quelque consolation à la pensée que c’est en accomplissant un grand devoir, un devoir que pour nous Suisses est sacré, que votre fils a trouvé la mort».

Il libro: Anna Ruchat, Volo in ombra, Quarup, Pescara 2010, 69 pagine.

Il film: Olmo Cerri, Volo in ombra, Svizzera 2012, 52 minuti.

Il sito del documentario: www.voloinombra.ch

 

(Quando cadevano gli Hunter. Un bel documentario di Olmo Cerri, «Nonviolenza» n. 9, dicembre 2012, pp. 16-17. Versiuone francese: Quand tombaient les Hunter. Un beu documentaire de Olmo Cerri, «Une Suisse sans armée» n. 96, pp. 9-10)

GSse, 2012, recensione, esercito, aereo, Nonviolenza

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