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Zolle. Tripoli in Ticino (2003)

Echi della guerra di Libia (1911-12) nella Svizzera italiana

«Zolle» era una trasmissione divulgativa di Rete Due, legata alla Svizzera italiana, che presentava un tema diverso ogni settimana, distribuito su cinque brevi interventi di 5-6 minuti. Questa serie è andata in onda nel dicembre 2003.

Zolle. Tripoli in Ticino

1. Lunedì

(«A Tripoli» canta De Nardis) 

Tripoli bel suol d’amore/ ti giunga dolce, questa mia canzon.

Tripoli, terra incantata/ sarà italiana al rombo del cannon.

Inizia e termina con questi versi il ritornello della più celebre canzone nata con la guerra di Libia. Non a caso il maggior studioso del colonialismo italiano, Angelo del Boca, ha intitolato Tripoli bel suol d’amore il primo volume della sua opera sugli italiani in Libia.

Nel settembre del 1911 l’Italia si lancia alla conquista della cosiddetta «quarta sponda» e i facili successi iniziali sembrano cancellare i ricordi amari delle fallimentari spedizioni coloniali italiane dell’Ottocento. L’entusiasmo è grande, anche se destinato a stemperarsi col passare del tempo: gli italiani, nonostante la vittoria sui turchi ottomani che governavano la Libia, non riescono veramente a controllare il paese, e gli scontri continuano anche dopo la pace firmata nell’ottobre 1912.

In queste zolle parlerò di alcuni riverberi che questa guerra, nella sua fase iniziale, ha avuto in Svizzera, e soprattutto in Ticino.

Naturalmente è la numerosa comunità italiana a sentirsi direttamente coinvolta dall’impresa coloniale. Il console di Ginevra, in un documento redatto dopo la conquista di Tripoli, parla di un «possente risveglio di patriottismo». «In seno alle società – scrive il console – nei cantieri, nei caffè, ovunque vedesi un crocchio di operai italiani, non si parla che della Patria, del Re, dell’esercito, della marina. Gli italiani si sentono più apprezzati, più stimati, più rispettati».

Lo stesso entusiasmo, con poche eccezioni, travolge anche il Ticino, e come vedremo non si limita alla sola comunità italiana. All’inizio, in mancanza di un prorio organo di informazione, la colonia italiana appoggia la guerra coloniale con serate di propaganda, organizzate soprattutto a Lugano e Bellinzona. Sono eventi molto seguiti, come dimostra questa cronaca uscita su «Popolo e libertà» il primo dicembre del 1911:

«Si dice, da qualche maligno, che a Lugano si fa dell'antitalianismo. Non è vero. E valga, a prova della nostra negazione, il fatto verificatosi per varie sere consecutive all'Odeon. Fra un numero e l'altro dell'attraente e caratteristico programma svolto dalle principessine lilipuziane, apparvero sulla tela cinematografica delle magnifiche proiezioni di films rappresentanti al vero il teatro, le vicende e gli episodi della guerra italo turca. Ebbene, il pubblico scelto ed elegante che stipava la sala - non certo italiano nella sua maggioranza - accolse con vivissima ovazione ed accompagnò con caloroso battimani la proiezione di tutti i quadri ritraenti la partenza dei soldati italiani per la Tripolitania, le loro gesta coraggiose sul campo di battaglia e le loro marcie trionfali sul terreno conquistato a duro prezzo».

Anche a Lugano quindi, come in Italia, vengono proiettate riprese cinematografiche della guerra. Si tratta di un fatto nuovo e interessante: la guerra di Libia è la prima a essere sostenuta dalle nuove tecniche di comunicazione come il cinema e il disco. Anche la prima a essere seguita da un’apposita unità fotografica creata in seno all’esercito. Per la prima volta vediamo qui riunite, parzialmente coordinate, e messe al servizio della propaganda le nuove tecniche della comunicazione. D’ora in poi questa propaganda, arricchita via via da nuovi mezzi (la radio, la televisione...) sarà un elemento essenziale di ogni guerra. Noi, uomini del XXI secolo, ne sappiamo qualcosa...

(«A Tripoli», secondo ritornello)

 

2. Martedì

Parlavamo ieri delle serate propagandistiche organizzate in Ticino a favore dell’Italia in guerra, e del loro successo di pubblico.

Quella proposta a Lugano il 27 novembre 1911, a beneficio delle famiglie dei feriti e ei combattenti in Tripolitania, prevede un «dramma militare» dal titolo «Valore vittorioso» e «Il teatro della guerra, 26 episodi dal vero dalla Tripolitania». Agli intervenuti si regala una carta topografica a colori della guerra italo-turca. Non si precisa, in questo caso, se gli «episodi dal vero» corrispondono a riprese cinematografiche o a ricostruzioni che di vero hanno poco, come quelle prodotte dalla nascente industria discografica italiana, che proprio nella guerra di Libia trova una buona occasione di sviluppo e diffusione. «Scene dal vero» si intitolano infatti molte improbabili immagini sonore dell’impresa africana, confezionate in studio senza il timore del ridicolo, con gli spari prodotti percuotendo pentole e tamburi. Sentiamone una intitolata «L’eroico comportamento dell’XI bersaglieri», riferita a uno degli episodi più celebri della guerra, la battaglia di Sciara-Sciat del 23 ottobre 1911.

A un certo punto, tra i fruscii del 78 giri, si sente dire:

– Oddio, siamo attaccati alle spalle.

– Sono gli Arabi.

– Ah, canaglie di traditori. Assassini!

A Sciara-Sciat si infrange infatti uno dei miti della propaganda coloniale, quello degli arabi che avrebbero accolto gli italiani come liberatori dal dominio ottomano. Invece qui si rivoltano contro gli autoproclamati liberatori, come capita del resto anche ai tempi nostri. L’episodio è ricordato con enfasi anche negli articoli usciti sui giornali ticinesi. L’«Azione» – giornale di quella sinistra liberale che allora si chiamava Estrema radicale – scrive per esempio:

L'Italia ha avuto bisogno delle infamie arabo-turche di Sciara-Sciat. Il martirio suo ha sorpassato tutto quanto di più doloroso e di più grande insieme registra la storia dell'evoluzione sociale, della periodica e fatale lotta dell'uomo contro la barbarie; i nobili, gli eroi che sfamarono e curarono un popolo rognoso ed affamato furono da quello stesso popolo straziati nel modo più orrendo.

Basta così. Ecco il disco.

(«L’eroico comportamento dell’XI bersaglieri»)

 

3. Mercoledì

Per il capodanno del 1911 le associazioni italiane presenti in Ticino, come l’Unione italiana di Locarno, quella di Brissago, la Società italiana "Patria", la Scuola italiana e la Società Dante Alighieri di Chiasso, l’Unione italiana di mutuo soccorso di Bellinzona, le Società figli d'Italia di Cresciano, di Lugano, di Mendrisio, della Collina d'oro e di Rivera Bironico, la Società fratelli d'Italia di Faido eccetera, «desiderando dimostrare con un atto di solidarietà che né per tempo, né per circostanza di fortuna o di disastri cesseranno un solo momento di essere uniti ai destini della Madre Patria, incaricano l'Ill.mo Console Generale d'Italia in Lugano di spedire, in occasione del Capo d'Anno, un telegramma di augurio e di riconoscenza al Re e all'Esercito». Sembra di sentire il ritornello della canzone «Viva l’Italia»:

Viva la flotta/col tricolore/ viva l’esercito/ e viva il re! 

Ho già accennato al generale entusiasmo che coglie gli italiani in Svizzera nei primi mesi dell’impresa coloniale, e questo appello al console ne è un a prova lampante. Non manca qualche voce fuori dal coro, ma il coro è compatto e i dissidenti, o dissonanti, faticano a farsi sentire.

Il 14 gennaio 1912 viene organizzato a Lugano un comizio contro la guerra. Parlano Giulio Barni, Alceste de Ambris, Tullio Masotti, tre sindacalisti italiani profughi in Ticino. Al comizio, si legge sulla convocazione, «i sostenitori dell’impresa tripolina sono invitati a sostenere il contraddittorio». Vi assistono, secondo la polizia, oltre 300 italiani e quasi un centinaio di «svizzeri curiosi». I resoconti giornalistici e i rapporti di polizia sono concordi nel riferire che «nel complesso l’uditorio era ostile ai relatori», intervenuti a fatica «tra il vociare dei prò tripolini». Un rapporto di polizia ci dà un’idea del clima dell’incontro:

I«n tutti i discorsi furono assai più le offese lanciate che non le ragioni o i torti esposti. Un mio amico afferrò queste frasi “Banditi che ci governano”, “Turba ubriaca di iloti”, detta da De Ambris. Barni disse fra altro al pubblico “Non si può essere più asini, bestie, maleducati!” “Pezzenti borghesi plaudenti” “I generali italiani sono una massa di imbecilli o di vili”. Masotti “Nefandezza e imbecillità italiana”, “La stampa italiana ha mentito nel modo più abbominevole e vile”, “Beduini della ragione”, “Branco di cani arrabbiati”, “Imbecillità congenita del governo italiano”, “Stampa criminale” (...)».

Il redattore del rapporto, come si sente, più che al discorso complessivo degli oratori – qui del tutto assente – è interessato a eventuali frasi offensive nei confronti dei governi italiano e svizzero, ma il suo lavoro di registrazione è reso difficile dal gran baccano dei favorevoli alla guerra: «Le relazioni circa i termini usati da de Ambris – annota il poliziotto – sono disparate perché fu in quel tempo che il pubblico maggiormente urlava, ma non pare sia stata offensiva per noi».

Il Ministero pubblico federale apre un’inchiesta e in febbraio diffida gli oratori dall’abusare del diritto di asilo, minacciandoli di espulsione. E qui emerge un’altra ragione che rende poco udibili gli italiani contrari alla guerra: non solo si trovano in minoranza, ma la maggior parte di loro, socialisti e anarchici, sono precariamente in Svizzera in. Qualità di rifugiati e devono esprimersi in pubblico con molta circospezione...

Visto che gli oppositori hanno poca voce, diamogliela noi immaginando, sopra la versione bellicosa di «A Tripoli», le parole di una parodia uscita nel 1913. E cioè:

Tripoli, suol del dolore/ ti giunga in pianto, questa mia canzon

Sventoli, il tricolore/ mentre si muore al rombo del cannon

(sulla registrazione originale di «A Tripoli»)

 

4. Giovedì

Visto che ieri ho parlato delle minacce di espulsione contro i sindacalisti italiani contrari alla guerra coloniale, è giusto che accenni ora all’espulsione dalla Svizzera di un pubblicista italiano che all’impresa tripolina era apertamente favorevole: Angelo Oliviero Olivetti. La causa: due suoi articoli usciti sul «Giornale degli italiani», pubblicato a Lugano. Il settimanale è pubblicato dalla colonia italiana dalla fine del 1911, e naturalmente dà gran rilievo alle ragioni coloniali del governo italiano e ai suoi successi militari. Non è questo tuttavia a indisporre la Confederazione, tanto più che, come vedremo, quasi tutti i giornali ticinesi plaudono alla conquista della Libia.

Sono invece articoli che riguardano le relazioni tra la Svizzera e l’Italia. Olivetti osserva che sul piano militare il sistema difensivo svizzero si starebbe sviluppando solo verso l’Italia, e che sul piano culturale vi sarebbe una tendenza alla germanizzazione dell’intero paese. L reazione dissennata della stampa svizzero-tedesca porta a un provvedimento politico certamente eccessivo: un’inchiesta federale e l’espulsione dell’Olivetti. Con questa vicenda il «Giornale degli italiani» chiude dopo appena cinque mesi di vita.

Non è il nostro tema, e quindi taglio corto. Quel che conta qui, è che la guerra di Libia contribuisce a esasperare l’atteggiamento della stampa svizzero-tedesca che vede dietro ogni discorso sull’italianità del Ticino un progetto irredentistico: dopo la Libia, quindi, l’Italia potrebbe conquistare il Ticino. Ecco un esempio, tratto dalla «Tessiner Zeitung» del 4 maggio 1912, della prosa aggressiva e razzista di questi ambienti anti-italiani:

«Per distruggere completamente l'impressione delle magnificenze dell'Italia bisogna osservare i suoi abitanti. Si videro mai in un popolo tanti ladri, piccoli truffatori, tanti mendicanti, straccioni, che malgrado la loro vanitosa presunzione, conservano una superstizione terribile? Dalla mancanza di disciplina, dalla maffia, uscì l'anarchico Italiano, il dichiarato assassino di re e presidenti. Osserviamo bene il popolo: la sua origine appartiene alla razza sud europea, iberica, che originariamente è parente con la razza semitica. Diverse volte però questa razza fu fecondata da sangue ariano, e così nei tempi antichi si sviluppò la coltura degli etruschi, la prosperità dell'Italia meridionale con lo stabilirsi dei greci (!!!!) l'impero mondiale romano ma appunto per questa ragione vennero nel paese uomini e liberi e schiavi di tutte le razze, specialmente Negri e semiti e in questo orribile miscuglio è unicamente da cercare la causa della decadenza di Roma imperiale. Il sangue ariano era esausto».

Pochi mesi dopo la chiusura del «Giornale degli italiani», nasce in Ticino un periodico - «L’Adula» – che sarà a sua volta accusato di irredentismo., soprattutto qualche anno più tardi. Qui voglio citarlo più che altro per un brano significativo della «guerra contro il turco», che giustifica a posteriori anche l’impresa tripolina (qui siamo già nel novembre del 1912, quando la guerra di Libia, almeno ufficialmente, è finita (sta invece cominciando la prima guerra balcanica):

«È ripensando alle tristi condizioni in cui abbiamo trovata quell’Africa che fu dei Turchi, ed al bene che ad essa certo verrà dalla recentissima introduzione delle libere istituzioni moderne, che oggi «l’Adula» guardando verso l’Oriente non può [fare] a meno di alzare una voce augurale e sincera in favore della coalizione slava scesa or ora in campo contro le barbarie degli Ottomani. È "L’Adula", il mite giornale fondato e diretto da due giovani donne, per un santo ideale, che muove oggi una voce non mite e grida: Venga la Guerra!Venga la guerra, per dio; quando non resta che questa "ultima ratio" delle armi per abbattere i tiranni e condurre un popolo a libertà. (...)» 

Forse a qualcuno queste frasi suoneranno tristemente attuali e famigliari. Facciamole dimenticare con questo 78 giri – «La festa del Marabutto» – registrato nella Libia fugacemente italiana, una delle prime incisioni folk mai realizzate...

(«La festa del Marabutto», bande del Gorian)

 

5. Venerdì

(«Viva l’Italia», canta Olimpia D’Avigny)

Se il «Giornale degli italiani» stampato a Lugano sostiene apertamente la guerra di Libia, la maggior parte dei quotidiani ticinesi non è da meno. Unica voce tenacemente contraria all’impresa coloniale italiana è il giornale socialista L?Aurora, il cui giudizio può essere sintetizzato da questa frase, tratta da  un articolo uscitio il 5 dicembre del 1911:

«(l'Italia), che tiene ancora metà delle sue terre incolte, è andata a seminar d'ossa di proletari le terre altrui che ha proclamato proprie; ed ha definito traditori quegli Arabi che, per non tradire la loro patria, si rivoltarono all'invasione; e ha riempito le fosse di fucilati in massa e le galere di generosi ribelli»

Prudente, e a tratti anche critico, è il conservatore «Popolo e libertà». L’orientamento generale degli altri giornali è invece favorevole alla guerra coloniale (anche se vengono ospitate, qua e là, a volte con esibito spirito pluralistico, alcune voci contrarie: è il caso del «Corriere del Ticino»).

All’inzio di settembre del 1911, quando la guerra è nell’aria, il corrispondente milanese del «Corriere del Ticino», Vittore Frigerio, ne difende il principio: «L’Italia, vedendo che Francia e Germania stavano per mutare la carte dell’Africa a proprio piacimento, si ricordò d’avere anch’essa delle ragioni coloniali da difendere». Più tardi, a guerra iniziata, afferma perentoriamente: «È assurdo supporre che i Ticinesi possano schierarsi contro i trionfi della comune madre: l'Italia». Anche questa testimonianza di un caporale impegnato in Libia, raccolta da Frigerio e pubblicata dal giornale senza la minima presa di distanza, è significativa dell’aria che si respira in redazione:

«Prima di ritirarci portammo via un paio di dozzine di beduini morti. Caricatili sui muli attraversammo Derna mettendoli alla vista degli abitanti che li credevano invulnerabili, poi li abbiamo gettati in mare in pasto ai pesci. Sono però certo che anche loro faranno un po' di sacrificio per inghiottirli, tanto sono brutti!Ti garantisco che in questa giornata abbiamo fatto vedere a questi nostri nemici chi è l'italiano. (...) Sai cosa dicono gli arabi del paese? Bono italiano, bono, ma pum... pum..., zii...»

Quanto al liberale «Il Dovere», all’inizio della guerra va addirittura a ripescare, definendole «lucide impressioni storiche e sociali» alcune frasi scritte nel 1887 da Alfredo Oriani, il maggior teorico dell’imperialismo italiano. Per esempio questa: «La redenzione dell’Africa non è già quella degli africani attuali, ma la sostituzione di una più alta vita alla loro: che se essi non possono raggiungerla hanno vissuto fin troppo vivendo inutilmente». E ancora nel marzo del 1912 recensisce con entusiasmo un libro «che prova il diritto storico, politico e geografico dell’Italia su quelle terre che il turco abbandonava alla sfacelo fatto di ruderi dell’antica fertilità, dell’antica grandezza».

Come in Italia, dove l’entusiasmo iniziale dell’opinione pubblica si affievolisce progressivamente, l’orientamento generale favorevole dei giornali ticinesi tende a farsi più prudente con le crescenti difficoltà dell’esercito occupante e col protrarsi della guerra. Perdura comunque almeno fino all’ottobre del 1912, quando la pace di Ouchy pone formalmente fine alla guerra. Anche se la guerriglia araba continua a sfiancare l’esercito italiano, dal 1913 – nel mezzo delle guerre balcaniche e col sentore di una guerra mondiale – i giornali non si occupano quasi più della Libia, se non in caso di scontri di particolare rilevanza, come accade oggi per l’Afghanistan, come accadrà domani per l’Iraq.

 

Testo di riferimento: Danilo Baratti e Patrizia Candolfi, «Ossequi da Derna». Echi della guerra di Libia nella Svizzera italiana, «Archivio storico ticinese», n. 135, giugno 2004.

Registrazioni d’epoca: Tripoli italiana!, LP Fonit-Cetra FC 3647 (collana «Fonografo italiano»)

 

Per scaricare il pdf dell'articolo: Scarica Zolle Tripoli

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