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Interferenze (2014)

Divagazioni didattiche intorno a due scritti di Sergio Savoia

Interferenze

Divagazioni didattiche intorno a due scritti di Sergio Savoia

Pur navigato – con alle spalle un quarantennio di votazioni quasi regolarmente perse – ho vissuto con insolito sconforto la votazione dello scorso 9 febbraio sull’iniziativa UDC «contro l’immigrazione di massa». Non solo per il risultato ma anche per il modo in cui si è mosso Sergio Savoia, coordinatore del partito dei Verdi (partito di cui, a quel momento, facevo parte[1]).

Se ne scrivo su «Verifiche» è perché in qualche modo la campagna politica si è incrociata con la mia pratica scolastica (e «Verifiche» si occupa di scuola e di politica). In quelle settimane stavo infatti trattando, con le mie classi di quarta liceo, il periodo tra le due guerre mondiali. Più in dettaglio stavo cercando di spiegare i caratteri del populismo nazista e fascista, utilizzando questi materiali:

– la definizione di populismo del Grande dizionario della lingua italiana del Battaglia

– il programma del partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi del 1920

– il programma dei Fasci italiani di combattimento del 1919 e quello del Partito nazionale fascista del 1921

– alcuni passi del Mein Kampf relativi all’indole delle masse e alla propaganda

– un proclama elettorale nazista del 1932

– una scheda di un manuale di storia di Peppino Ortoleva e Marco Revelli intitolata “Chi erano gli elettori di Hitler”, in cui si riprendono tra l’altro alcune considerazioni di Ernst Bloch su un comizio elettorale in Germania.

Ecco, queste sono alcune delle cose su cui stavamo lavorando (parte di quella “civica” che, a quanto pare, non facciamo)[2] mentre infuriava la campagna pro o contro l’iniziativa. Ed è stato, almeno per me, un continuo cortocircuito tra i materiali che commentavamo a scuola e le parole scritte da Savoia, sui giornali o sul suo blog. Ovviamente non ho parlato di questo a scuola (avrei forse dovuto?) ma ci tengo a farlo qui. Allo scopo sarà necessario riportare almeno due interventi savoiardi nella loro interezza, e ampi stralci di altri.

Come entrata in materia prendo l’articolo pubblicato sul Corriere del Ticino il primo di febbraio.

Cari socialisti da salotto, ecco perché perdete

Franco Cavalli spiega, ieri sul CdT, ai Verdi perché sbagliano nel sostenere l’iniziativa contro l’immigrazione di massa. Lo fa con dovizia di esempi storici, dal Terzo Reich in poi. Come sempre succede alla sinistra, il mito è l’ultimo rifugio di chi ha finito le idee.

Io accuso, sissignore, questa sinistra salottiera di essersi disinteressata della sorte dei nuovi proletari: degli svizzeri e stranieri residenti buttati via come ferrivecchi perché “costano troppo”.

Accuso la sinistra di tenere più al feticcio della propria purezza ideologica che al futuro dei nostri giovani, che non troveranno lavoro perché il loro lavoro è stato dato a un giovane lombardo che, sbattuto fuori anche lui come un ferrovecchio dalla troika europea, non lo trova a casa sua. Io accuso, certo, questa sinistra di ergersi a predicatrice di sventura senza accorgersi che la sventura è già qui, sotto forma di salari da fame, di disoccupazione giovanile ILO al 15%, di code chilometriche di disperati che vengono a farsi sfruttare per 1500.- al mese.

Io accuso questa gauche caviar senza agganci con la realtà di sventolare le proprie bandiere rosse o iridate e di non voler scendere nei quartieri popolari (che da tempo votano lega) perché i proletari veri le fanno un po' senso. Io accuso la sinistra di sventolare lo spettro degli stagionali e non accorgersi adesso non c'è bisogno degli stagionali perché ci sono i notificati, 203'000 in Svizzera, che possono lavorare 90 giorni, che fanno tre mesi, che guarda caso è una stagione. 

Accuso la sinistra di essere talmente impegnata a tracciare suggestivi paragoni storici e a difendere il proprio internazionalismo buonista da dimenticarsi che gli stranieri residenti sono i primi a pagare, basti vedere quanto è aumentata la disoccupazione tra gli italiani, spagnoli, portoghesi residenti. Se questi stranieri potessero votare, voterebbero sì.

Accuso la sinistra di sventolare soluzioni al problema frontalieri da dieci anni senza avere le maggioranze per farle accettare, e senza avere altra strategia se non quella dell’attesa paziente che il padronato si ravveda da sé.

Accuso la sinistra di voler trattare gli elettori da ignoranti quando va bene, e da razzisti quando va male, senza fare alcuno sforzo per capire perché i propri concittadini votano come votano. Accusa questa sinistra di essere anti-UE quando si parla di Grecia e Portogallo ma di mettersi poi a sventolare la bandierona con le stelle gialle in casa nostra, dimenticando che questa UE è l’UE di Draghi, della Merkel, dell’alta finanza e delle banche. Non è la mia, non è quella del lavoratore svizzero, né del lavoratore italiano, né del lavoratore rumeno.

Accuso la sinistra di chiederci di pazientare e attendere l'estensione della libera circolazione alla Croazia per indignarci e ribellarci in maniera politically correct. Chiedo allora a questa sinistra di andare a spiegare agli svizzeri, agli stranieri residenti che dovremo stringere i denti ancora due annetti così loro, quelli buoni, quelli “di sinistra”, possono passare per i difensori dei deboli e degli oppressi, senza sporcarsi le manine affusolate. E accuso Franco Cavalli e gli altri intellettuali della sinistra di non sapere più cosa dire alla nostra gente. E di saper fare solo prediche, oltretutto vecchie e noiose e già sentite. Datemi dello xenofobo e dite pure ai Verdi che sbagliano. Ma io continuerò a ribadire il mio Sì a questa iniziativa e a invitare tutti a votare in questo modo.

Un Sì contro l'Europa e i bilaterali della finanza e degli sfruttatori. Un SÌ a favore della dignità del lavoro di tutte le persone che vivono sul nostro territorio. Un SÌ che, ne sono certo, la stragrande maggioranza della splendida gente di sinistra, così diversa dai suoi dirigenti da salotto, esprimerà chiaramente il prossimo 9 di febbraio, così come hanno invitato a fare uomini liberi del campo progressista: da Rudolph Strahm a Marco Jermini. Io voglio risolvere i problemi. Voi volete aver ragione.

La storia giudicherà. Anzi, sai cosa caro Franco? Ha già giudicato.

Qui mi interessa, ripeto, lo stile politico di Savoia, non tanto i suoi riferimenti all’articolo di Cavalli[3]. Non mi soffermo sull’opportunità di sfruttare il nobile modello retorico del J’accuse di Emile Zola in questo contesto. Riprendo invece dall’articolo due serie di affermazioni. La prima: «socialisti da salotto», «sinistra salottiera», «gauche caviar», «dirigenti da salotto» dalle «manine affusolate». La seconda, per contrapposizione: «i nuovi proletari», le «code chilometriche di disperati», «i proletari veri» che vivono nei quartieri popolari, «la nostra gente». Ecco quindi il j’accuse reiterato a dare il ritmo a una contrapposizione elementare tra i traditori del popolo (i $ocialisti a cui ci ha abituato il Mattino) e chi sa calarsi veramente, come Savoia, negli anfratti dello sfruttamento e del malessere sociale, che sa ascoltare «la nostra gente»[4]. Concetto espresso in forma più concisa qualche giorno dopo nel suo blog (5 febbraio):

Cioè: il partito socialista è in mano a una banda di intellettuali piccolo borghesi, che si percepiscono come élite politica della nazione. A costoro il popolo fa un pochino senso[5].

E «la nostra gente», come «la stragrande maggioranza della splendida gente di sinistra» – splendida nella misura in cui coincide con la sagace e virtuosa «nostra gente» – sa capire da che parte va la storia. Su questo torno dopo.

Andrebbe anche fatto rilevare (qui o in nota?) come il violento attacco verbale non sia sferrato equanimemente contro chi si è schierato “da sinistra” contro l’iniziativa, ma in modo esclusivo contro la dirigenza socialista. In questo gioco retorico è importante costruire l’immagine scissa di un partito socialista dalla dirigenza agiata e smidollata a cui contrapporre la sana base operaia, che sa invece quali siano i reali bisogni della gente[6]. Questa scelta di Savoia va certamente messa in relazione con le sue strategie di acquisizione di nuovi consensi sul mercato elettorale, ma probabilmente anche con il suo tribolato passato socialista.

Introduco ora la ricca definizione di populismo su cui lavoro a scuola:

POPULISMO, 2, Polit. Atteggiamento politico favorevole al popolo (identificato nei ceti sociali economicamente più umili e soprattutto culturalmente più arretrati), ma in modo generico, velleitario e demagogico (adulando il popolo come depositario di tutte le virtù sociali e come vittima del cinico egoismo e dell’amoralità dei ceti dominanti, e formulando proposte politiche atte a gratificare il desiderio di rivalsa da parte dello stesso popolo, ma non idonee a incidere efficacemente sui complessi problemi che pone la società moderna) e non di rado in modo strumentale perché sostanzialmente diretto a perseguire fini di mera conquista o mantenimento del potere o progetti politico-sociali sostanzialmente reazionari (volti, cioè, più a ripristinare forme storiche già superate che a introdurre moderne riforme strutturali: e in tale accezione il termine assume per lo più una connotazione polemica negativa).

Offenderei il lettore se mi soffermassi sulle corrispondenze tra le prime cinque righe della definizione e quanto si è visto fin qui.

Savoia ha scritto e detto parecchio sui tradizionali organi di informazione, ma per cogliere in pieno il suo agire populistico bisogna prendere in considerazione anche il suo blog, a cui ho dato un’occhiata in quei giorni[7]. Dopo la sparata antisocialista in stile “j’accuse”, Virginio Pedroni ha scritto sulla Regione Ticino del 6 febbraio un intervento intitolato «Indietro Savoia!», in cui mette lì, quasi a sfidare il fastidio savoiardo per i paragoni storici, «un’altra, un poco ardita, analogia», quella tra due forme di «anticapitalismo reazionario»: la prima è quella dei difensori della schiavitù negli USA di metà Ottocento («effettivamente l’abolizionismo era connesso agli interessi dell’aggressivo capitalismo del Nord-Est»), la seconda quella dei sostenitori dell’iniziativa che propongono «la discriminazione fra lavoratori nel nome di una presunta difesa della dignità del lavoro (dei residenti)». 

Savoia reagisce pubblicando questo intervento sul suo blog:

L’offensiva dei cazzari

L'iniziativa contro l'immigrazione di massa ha dato la stura all'imbecillità di massa. O perleomne (sic) all'imbecillità di quegli oppositori PS sempre più in preda al panico, i quali, del tutto incapaci di portare un solo argomento che non sia "se votate sì fate schifo", dimenticato l'obbiettivo raddoppiano gli sforzi.

Oggi Virginio Pedroni (appunto) opera un ardito paragone storico tra me e gli schiavisti del Sud degli Stati Uniti. La classe non è acqua!

Pedroni (esattamente!), allegro come un 2 novembre, ebbe un breve periodo di notorietà come candidato di John Noseda contro l'Anna Biscossa. Durò anche meno dei 15 minuti di cui parlava Andy Warhol. Pedroni era troppo triste e grigio perfino per il PS. Oggi fa la sua marchettina personale sparando immensità dalla Regione Ticino (e da dove sennò?).

Inutile dire che Pedroni (come volevasi...) è uno di quelli che le conseguenze della libera circolazione non le sentirà mai. Il suo culo è perennemente riscaldato dalle serpentine dell'impiego pubblico. Che ne sa della sostituzione? La sensazione di essere rimpiazzato da un frontaliere che prende la metà del suo stipendio non la proverà mai. E gli auguro che continui a non provarla, perché le sue certezze storiche crollerebbero nel breve volgere di un mattino.

Ma lasciamo sobbollire Virginio Pedroni (a chi lo dite...) uno le cui capacità argomentative non sposterebbero nemmeno il voto della moglie.

Quel che conta è notare per l'ennesima volta che la totale mancanza di argomenti spinge gli oppositori, tra cui ormai si distinguono per intensità psicotica i membri della direttiva e del gotha socialista (che evidentemente hanno un po' accusato il colpo del mio "j'accuse"), a fare paragoni storici tanto sguaiati quanto ridicoli.

Qualcuno pensa davvero che io sia il nuovo fascismo, il nuovo schiavismo? Che il Ticino del 2014 abbia qualcosa a che fare con gli USA del 1860? E perché questi parlano di Lincoln e del Generale Lee invece di parlare dei problemi della nostra gente? Ah no, questa è facile. Perché come già dicevo nel mio contributo al CdT di sabato scorso, non gliene può fregar di meno, dei problemi della nostra gente. E tutti gli interventi fatti dall'apparizione di quell'articolo hanno confermato puntualmente la mia analisi.

Avanti così, cari amici. Ogni volta che aprite bocca, i SI aumentano: peccato manchino solo tre giorni al voto, altrimenti qui si faceva il 100%. Ognuno di questi articoli conferma quel che la gente già pensa di voi. Cupio dissolvi, si chiama in latino. Il desiderio di morire...

Suggerisco, per evitare di surriscaldare il cashmere dei cervelli di questa eletta schiera di cazzari, un altro paio di paragoni storici. Suvvia, che la Regione aspetta, altrimenti rischiamo un altro editoriale di Caratti che francamente il popolo non merita...

"Savoia è il nuovo Attila" (paragone storico tra la politica demografica degli Unni e l'iniziativa dell'UdC). Con fotografie d'epoca.

"Chi vota SÌ contribuirà alla diffusione di malattie veneree" (parallelo biologico tra le posizioni dei sostenitori dei contingenti e quelle di chi, volontariamente, diffonde l'herpes), con sezioni di DNA virale per provare la solidità dell'argomento.

"I Verdi, dando indicazione di sì, ricordano moltissimo i Vichinghi che razziavano i monasteri irlandesi nel X secolo" (acuta metafora storico-religiosa in cui si traccia un solidissimo parallelo tra gli ecologisti nostrani e i biondi hooligans con le corna nell'elmetto). Con visita al Monastero di Clonmacnoise.

Savoia è il nuovo Gengis Khan (indispensabile rimando storico per cui Savoia sarebbe paragonabile al leader mongolo in quanto anche lui era pelato). Con cena in piedi a montone e yoghurt di yak e, per chi vuole, ascolto di canzoni rivoluzionare mongole e pernottamento in yurta.

Non mi occupo dell’ultima parte. Mi limito a dire che non rende giustizia alla vena satirica di Savoia, che a volte veleggia, bisogna riconoscerlo, un po’ più in alto. Anche il resto meriterebbe semplicemente un imbarazzato silenzio e (a tutto vantaggio di Savoia) l’oblìo. Ma da un lato, a rischio di amplificare le parole infami, è doveroso combattere l’infamia. Dall’altro siamo di fronte a questa bronzea realtà: nell’era di internet le parole rimangono in circolazione, riprese, moltiplicate, intercettate da motori di ricerca, molto più di quanto meriterebbero. Tanto vale allora occuparsene. 

Ai lettori di Verifiche non è necessario spiegare chi è Virginio Pedroni. Anche l’articolo su cui ironizza Savoia, nel suo piccolo, è un esempio della sua capacità argomentativa (di Pedroni). Savoia[8] non entra nel merito dell’argomentazione, e rovescia semplicemente la realtà: è Pedroni, coi suoi simili, ad essere incapace di «portare un solo argomento che non sia “se votate sì fate schifo”». Questa è una pratica molto frequente nei testi dell’ultimo Savoia: negare al discorso dell’avversario ogni dignità, limitandosi di fatto a ribadire una propria verità («se votate no fate schifo») senza affrontare, se non tentando di ridicolizzarli, gli argomenti dell’avversario. Questo lo fa particolarmente in quello spazio che lo mette più direttamente in contatto con i “suoi” lettori: il blog (e ancora peggio farà, mi immagino, con i suoi amici su Facebook, luogo a cui io non accedo).

Ed ecco presentarsi un’altra interferenza, questa volta con un passaggio del Mein Kampf in cui Hitler spiega come bisogna impostare il rapporto con le masse: una delle parti più illuminanti di quel testo, che cito nella bella edizione curata da Giorgio Galli[9]:

La propaganda deve essere popolare, il suo livello spirituale deve essere commisurato alla capacità ricettiva dei più piccoli tra coloro cui ci si rivolge. Perciò il suo livello spirituale deve essere posto tanto più in basso, quanto più grande sia la massa di gente su cui vuole agire.

(...)

È sbagliato dare alla propaganda la varietà dell’insegnamento scientifico. La ricettività della grande massa è molto limitata, la sua intelligenza mediocre, e grande la sua smemoratezza. Da ciò deriva che una propaganda efficace deve limitarsi a pochissimi punti, punti che poi deve ribadire continuamente, finché anche i più tapini siano capaci di raffigurarsi, mediante quelle parole implacabilmente ripetute, i concetti che si voleva restassero loro impressi.

(...)

Il compito della propaganda non consiste nel bilanciare scrupolosamente le reciproche ragioni dei vari belligeranti, ma nell’esclusiva accentuazione di quell’unica che essa deve esaltare. Essa non deve cercare oggettivamente la verità, nella misura che possa essere favorevole anche agli altri, per poi esporla dottrinariamente e imparzialmente alle masse, ma servire ininterrottamente e soltanto la propria.

(...)

Nella misura in cui la propaganda conceda anche l’ombra di un diritto alla parte avversa, il dubbio nei riguardi del proprio diritto è già nata.

Concedere all’altro, in questo caso a Pedroni, «l’ombra di un diritto», riconoscere la dignità di una riflessione per poi eventualmente controbatterla, può incrinare l’assoluta certezza delle convinzioni della propria parte. Non bisogna entrare in discussione, soppesare le argomentazioni, confrontarsi sul piano delle idee, ma è meglio sminuire, denigrare, offendere.

Ecco allora che la replica allude alla povertà discorsiva di Pedroni, le cui argomentazioni «non sposterebbero nemmeno il voto della moglie» (sulla scelta di questa immagine si potrebbe anche ricamare parecchio, ma non mi addentro in questa dimensione). 

Come ho spiegato prima, Pedroni ragiona su un’analogia tra due discorsi «che si oppongono in modo regressivo (...) alla figura del lavoratore libero». Ci si potrebbe confrontare con questa analogia, ma ciò richiederebbe un livello argomentativo che può mettere in difficoltà il target politico di Savoia, che vuole sentire altro. Ed ecco che la questione è completamente stravolta e ridotta a un accostamento assai più elementare: «Qualcuno pensa davvero che io sia il nuovo fascismo, il nuovo schiavismo?». Evidentemente nessuno la vede in questi termini, neppure Pedroni, ma questo non importa né a Savoia né ai fedeli lettori del blog. Così è tutto più facile: Pedroni non sa argomentare e dice cazzate. «E perché questi parlano di Lincoln e del generale Lee invece di parlare dei problemi della nostra gente?».

Non solo: è un signorino col cervello avvolto nel cashmere[10]– e torniamo alla «gauche caviar» e ai $ocialisti mattutini. «Fa la sua marchettina» e certamente appartiene, per usare un’altra sua frase, a quella schiera di «intellettualini di provincia tutti svenimenti e mossette»[11]: ed ecco emergere dal blog, perfidamente, un ammiccamento, anche velatamente omofobo, a quell’anti-intellettualismo viscerale che certamente fa parte del DNA del nuovo target elettorale di Sergio Savoia. Anche se a Savoia disturbano le associazioni col passato, in particolare con il periodo tra le due Guerre mondiali, non posso non pensare al virulento anti-intellettualismo nazista, condensato nella celebre frase «Quando sento parlare di cultura, metto mano alla rivoltella»[12].

Altro discorso abituale in altre bocche, massime di domenica, è l’eterna invettiva contro il dipendente pubblico: «Il suo culo è perennemente riscaldato dalle serpentine dell'impiego pubblico». Proprio perché fin qui Savoia si è sempre mostrato sensibile nei confronti della dignità del pubblico impiego, questa frase mi ha ferito profondamente, prima ancora che come dipendente dello Stato, come cittadino. È forse uno degli elementi più rivelatori della svolta populistica di Savoia, che batte ripetutamente su questo chiodo, certamente in armonia con l’auditorio di cui vuole conquistare il favore, con la parte sana della «nostra gente». Eccolo di nuovo, il culo al caldo, in un’apologia del populismo pubblicata sul blog il 7 gennaio:

Siamo populisti e fieri di esserlo perché abbiamo il coraggio di essere quello che siamo malgrado il disprezzo che alcuni ci dimostrano, siamo fieri di esprimere le nostre opinioni perché almeno sono le nostre.

Populista è chi ascolta la voce del popolo invece che quella dell'economia, delle élite con il culo al caldo, dei think tank e degli esperti, dei club e dei circoli, degli intellettuali prezzolati che poi, vai a vedere, e si fanno solo i fatti loro? Bene, allora chiamatemi pure populista.

Una bella sparata che accomuna nella stessa condanna di nemici del popolo evocative categorie che in realtà non dicono nulla: quali club? quali circoli? quali élite? (col culo al caldo, questo lo sappiamo). Ed ecco, naturalmente, anche gli «intellettuali prezzolati». Quali? Prezzolati da chi? Non importa precisare. Gli intellettuali sono intellettuali, lontani dalla gente per definizione e, almeno qui da noi, in provincia, «tutti svenimenti e mossette».

In fondo il ciclo si potrebbe chiudere qui, con l’ultimo frammento citato. Si voleva mostrare come la politica dell’ultimo Savoia corrispondesse ai canoni del populismo. Lo si è, spero, dimostrato. E alla fine abbiamo pure una fiera rivendicazione, per quanto stizzita, di quell’etichetta. 

Ma qualcosa andrebbe pur detto sulla sua seconda parte della definizione del Battaglia: il richiamo alle virtù del popolo vittima del cinismo dei ceti dominanti porta a formulare proposte politiche non di rado dirette a «perseguire fini di mera conquista o mantenimento del potere o progetti politico-sociali sostanzialmente reazionari (volti, cioè, più a ripristinare forme storiche già superate che a introdurre moderne riforme strutturali )». Queste tre righe si attagliano perfettamente alla Lega dei ticinesi che, per quanto ne dica Savoia, non ha certamente rovesciato il «tavolo di sasso»[13]. Quanto a Savoia, credo che sia calzante il «perseguire fini di conquista del potere», ma che vada lasciato il dubbio sia sull’aggettivo «mera», sia sulla natura sostanzialmente reazionaria del progetto politico-sociale. Ne potremo parlare più avanti, ammesso che raggiunga l’obiettivo di entrare in governo.

Infine, anche se evidentemente si tratta di un’estensione del Savoia-pensiero (o perlomeno della Savoia-strategia), andrebbe ricordato il comunicato stampa diramato dai Verdi subito dopo il risultato elettorale, dal titolo «la storia siamo noi!»[14] (9 febbraio):

Ora, mentre si attende l’implementazione della decisione del popolo svizzero, bisogna cambiare radicalmente passo: basta con le mezze misure e le timidezze, ascoltiamo il popolo. Il governo e il parlamento del Canton Ticino devono quanto prima ritrovare la sintonia con il proprio popolo.

Se il «basta con le mezze misure» può richiamare molti altri patetici «basta!» (si pensi a quanto inflazionata sia questa illusoria affermazione nei volantini sindacali della VPOD), interessa qui mettere in evidenza l’ascolto del «popolo», la necessità di «ritrovare la sintonia del proprio popolo». Che sembra incarnarsi esclusivamente in quel 50,3 per cento degli svizzeri che ha votato sì, mentre il restante 49,7 deve per forza appartenere, se la frase ha un senso, a quelle «élite con il culo al caldo». Non popolo, ma nemici del popolo.

L’affermazione «la storia siamo noi» fa quasi ridere, quanto quel «la storia ha già giudicato» apparso all’inizio di questo percorso. Evidentemente «la storia» non giudica. O altrimenti: cosa avrebbe giudicato nel marzo del 1933, di fronte al 43,9 % dei voti attribuiti dai tedeschi alla NSDAP? Non avranno pensato anche costoro di «essere la storia»? E lo sono anche stati, non c’è dubbio. Questi richiami al giudizio della storia sì sono cazzate, anche se a Savoia fanno un bell’effetto.

E diamogli la parola per un’ultima volta, prima di chiudere (blog, 28 febbraio):

Le accuse di chi ha paura

Fascista, camicia nera, xenofobo, nazista, squadrista, populista, terrone, cialtrone, cretino, pseudo-leghista... Potrei farci un paio di articoli sul blog con gli insulti rovesciatimi addosso.

(...)

Chiunque mi conosca appena un po' lo sa. Basterebbe ricordare che qualche mese fa il nazista era in televisione a battersi (guarda un po' proprio contro quelli che oggi mi accusano) contro la revisione della legge sull'asilo[15].

(...)

La paura di certi partiti è quella che il voto del 9 febbraio prima o poi gli presenti il conto. Questi partiti preistorici, invece di spiegarsi con i cittadini, invece di chiedere scusa per aver sostenuto le ragioni di padroni senza scrupoli prima di quelle del popolo, preferiscono prendersela con me. La mia colpa? Essere stato sempre e senza esitazioni dalla parte del popolo.

In gran parte possiamo dargli ragione. Fascista, camicia nera e nazista sono indubbiamente fuori posto. Dello squadrismo c’è tutt’al più qualche timida avvisaglia[16]. Savoia non è neppure xenofobo. È tutt’altro che cretino (un po’ cialtrone forse, ma qui non importa). Anzi, penso veramente che lui sia, in questo momento, il politico più abile sulla piazza ticinese, e il più lucido (nel senso che sa analizzare lucidamente la realtà politica e muoversi efficacemente in quella per raggiungere i suoi obiettivi politici). Sa usare particolarmente bene, e tutti glielo riconoscono, la retorica e i mass media. In senso sempre più populistico, come abbiamo ripetuto fino alla noia. Non è un insulto, è una categoria politica. È un populista. Punto.

Aggiunta

In queste pagine ho fatto riferimento al populismo essenzialmente come a uno “stile politico”, di cui il nostro eroe è un fiero ed efficace interprete. Si tratta, come avverte lo storico Loris Zanatta, di un’interpretazione minimalista. Il populismo è qualcosa di più, può essere visto anche come un’ideologia, una “visione del mondo”:

Il fatto che i populismi si richiamino di solito a una sorta di senso comune popolare e che esprimano una viscerale vena anti-intellettuale non deve in proposito ingannare, né indurre a pensare che siano privi di un’ideologia: è accaduto spesso, ma non è corretto. È attraverso la loro ideologia, infatti, che essi elaborano una reazione a una fase storica che gran parte della popolazione vive come una crisi dovuta alla frammentazione di una comunità e alla perdita di senso dei suoi valori. (...) Il populismo, innanzitutto, evoca un’idea di comunità: non è per nulla un’ideologia individualista, ma comunitarista (...) Infine, il populismo tende ad emergere in società che si trovano in delicate e spesso convulse fasi di modernizzazione o trasformazione. (...)

Il popolo dei populisti appare indifferenziato, omogeneo, privo di dissonanze o dissensi. Esso è una comunità dove l’insieme supera la somma delle parti di cui è composto, dove l’individuo si confonde col tutto: una comunità olistica, sarebbe il miglior modo per definirla. (...) Tale natura indivisa del popolo è il cuore, l’essenza più intima del populismo. In quest’ottica il popolo s’impone infatti per il suo profilo monolitico, come in una comunità naturale radicata nel passato che affronta una minaccia dalla quale il populismo promette di difenderla rigenerandola, ridandole cioè la purezza e l’identità che sono a rischio[17].

Ampliando il discorso in questa direzione, le cose si complicano, anche perché Savoia si muove populisticamente nell’arena politica ticinese per ottenere visibilità e rendite di posizione, ma ancora non è chiaro che strada stia prendendo, né che strada stia prendendo il partito che lui coordina (o meglio: che lui guida, determinandone le posizioni con costanti forzature personali e fughe in avanti). È difficile stabilire fino a che punto il crescente riferimento alla comunità ticinese “una e indivisibile”, vittima della cecità bernese, vada oltre la mera dimensione propagandistica. Meglio quindi non spingersi oltre. Sarebbe anche dare troppa importanza al fenomeno politico Sergio Savoia. Forse una conclusione (aperta) può essere lasciata chi interviene così sul blog di Savoia a commento di un testo del 29 gennaio:

In fondo poche volte il leghismo è stato realmente penalizzato per le sue smodatezze verbali editoriali e così via, quindi forte è il dubbio che esso abbia sempre fatto parte -più o meno volutamente- del sistema. Bref: il populismo cantonale non avrebbe mai potuto fare quanto sappiamo se non avesse suscitato diversificate simpatie. Ora siamo arrivati a un leghismo 2.0. Tutto da scoprire...

 

(Interferenze. Divagazioni didattiche intorno a due scritti di Sergio Savoia, «Verifiche», n.2, aprile 2014, pp. 4-10)

Nota (2020): Savoia ha oscurato il suo blog al momento dell'assunzione alla RSI

 

[1] Tra la stesura di queste note e la loro pubblicazione ci sarà (c’è stata) un’assemblea cantonale dei verdi: dico già «facevo parte» perché con l’aria che tira è assai poco probabile che vi rimanga.

Nell’economia del presente scritto il fatto che io abbia votato no è irrilevante. Qui si discute di come Savoia si è espresso in questa campagna. Consegno alle note a pié di pagina considerazioni di contorno, che riguardano aspetti più personali o non direttamente legati all’analisi del testo.

[2] O meglio: noi facciamo educazione alla cittadinanza. Nei programmi di “civica” vagheggiati dagli iniziativisti (mi riferisco all’iniziativa popolare che verrà discussa prossimamente in parlamento) certamente non si dovrà parlare di “populismo”, ma sarà fondamentale sapere, per esempio, che si elegge un giudice di pace anche per il Circolo delle Isole. Ciò sarà di particolare utilità agli studenti stranieri, che potranno così conoscere, insieme al Salmo svizzero, le nostre istituzioni fin nelle più intime pieghe.

[3] In sintesi: Cavalli, nella forma un po’ schematica che gli è propria, sosteneva che l’iniziativa non stesse lacerando la sinistra ma i Verdi. Che la sinistra, ostile all’iniziativa, era invece pronta a «rovesciare il tavolo» se al momento di allargare la libera circolazione alla Croazia non si fossero ancora viste efficaci misure di accompagnamento. Che una vittoria dell’iniziativa UDC avrebbe portato un’ulteriore divisione tra i lavoratori. E vediamo quella che Savoia definisce la «dovizia di esempi storici» evocati da Cavalli: «Naturalmente l’UDC cerca di convincerci del contrario. Ma è da un secolo che l’estrema destra mette in avanti un discorso pseudosociale, sempre limitato però ai lavoratori locali: si pensi alla Repubblica sociale di Salò o al nome stesso di nazional-socialismo». E ancora, a proposito dello statuto dello stagionale: «non per niente Blocher, il grande ideologo di questa iniziativa, è stato il coordinatore del gruppo svizzero che sosteneva a spada tratta l’apartheid». Cavalli poco prima aveva ripreso una frase poco felice di Savoia, in cui il nostro eroe popolare affermava, a proposito dell’epoca dei contingenti, che «nessuno in coscienza può sostenere che la Svizzera allora fosse un paese incivile e razzista» (l’articolo di Cavalli è in CdT, 30.1.14).

[4] Altro cortocircuito: recentemente in un lavoro scritto ho chiesto a una classe di commentare un curioso documento ticinese del 1933: un volantino che chiama alla manifestazione del Primo maggio – oratori Zeli, Agostinetti junior e Canevascini – su cui è stato incollato questo foglietto firmato «Operaio italiano»: «Chiacchiere, chiacchiere e null’altro che chiacchiere.- Mussolini fa i fatti e va verso il popolo.- Canevascini invece non pensa che alla sua saccoccia.- Evviva l’Italia fascista. Evviva Mussolini. Evviva la Germania fascista. Evviva Hitler che da la caccia agli ebrei che rovinano il mondo.-».

[5] «Una banda»: mi limito ad attirare l’attenzione sull’uso di questa parola. Non so se a differenza di quei piccolo-borghesi, Savoia passi buona parte del suo tempo nelle case operaie. So invece che fa spesso riferimento, per sottolineare il suo affiatamento col popolo e la sua estraneità a ogni forma di xenofobia, al suo passato di figlio di emigranti. Anchi’io, pur connivente con quella banda piccolo-borghese di affamatori del popolo, ho un elemento autobiografico che mi lega a questo dibattito: sono figlio di un operaio socialista che, come parecchi altri, nel 1970 ha votato sì all’iniziativa Schwarzenbach. Pur avendo respinto l’ultima iniziativa UDC, non ignoro del tutto il “sentire popolare” e i meccanismi che lo determinano.

[6] Qui sarebbe interessante avviare un lungo discorso su come i Verdi negli ultimi tempi abbiano quasi del tutto abbandonato quella che potremmo chiamare una «critica dei bisogni e dei consumi», e quindi un loro originale anticapitalismo, per puntare strategicamente sulla difesa salariale e dei posti di lavoro. Ma non è il luogo.

[7] http://blog.savoia.ch/

Non l’avevo mai guardato prima e non l’ho più guardato dopo questa raccolta di materiali, perché mi fa veramente star male (evidentemente sono una persona troppo sensibile).

[8] Mi rendo conto, all’ennesima digitazione del nome, che per comodità avrei potuto abbreviarlo regolarmente in SS: cosa che non farò proprio per non cadere in una banalizzazione/demonizzazione in stile Savoia/Bignasca.

[9] Il «Mein Kampf» di Hitler. Alle origini della barbarie nazista, Kaos, Milano 2002, pp. 192-195. Si tratta di un’edizione completa del testo hitleriano accompagnata da un buon apparato critico. Riecheggiano in queste parole di Hitler alcuni tratti della Psicologia delle folle di Gustave Le Bon (1895), probabilmente mutuate da una volgarizzazione pubblicata  in Germania nel 1919.

[10] «Il cashmere dei cervelli di questa eletta schiera di cazzari»: l’eletta schiera viene qui, suppongo, dall’«Arrabbiata» di Francesco Guccini, e non dall’inno degli scout cattolici italiani «Passa la gioventù» (men che meno da Publio Vegezio Renato).

[11] «Per conto mio ribadisco: questa dirigenza socialista è costituita da piccolo borghesi che giocano a fare i rivoluzionari, da sindacalisti che appena possono si mettono d'accordo con i padroni perché raccattano soldi con i contratti collettivi, da intellettualini di provincia tutti svenimenti e mossette» (blog, 5 febbraio). Si noti a che punto arriva lo stravolgimento della realtà da parte del nostro eroe popolare: mi si indichi chi mai, tra i socialisti, giochi «a fare il rivoluzionario».

[12] La frase, solitamente attribuita a Göbbels o a Baldur von Schirach, che l’hanno comunque fatta propria, appare nell’opera teatrale Schlagerter(1933) di Hanns Johst: «Wenn ich Kultur höre... entsichere ich meinen Browning!».

[13] È quel che invece ha sostenuto Savoia, sempre sul suo blog (29 gennaio: «La lega e il nuovo tavolo di sasso»). Partendo da una critica alle posizioni del leghista Michele Guerra, Savoia conclude: «capisco che qualcuno abbia voglia di tornare al tavolo di sasso. Peccato che il Nano lo avesse rovesciato, quel tavolo». Giustamente Bruno Costantini ha fatto notare che «L’astuto capo-popolo leghista in realtà non ha mai rovesciato il “tavolo di sasso”: dopo spaventoso rumoreggiare di stoviglie per intimorire i commensali, l’ha solo apparecchiato diversamente, così da potersi accomodare pure lui» («Aggiungi un posto a tavola», Corriere del Ticino, 8 febbraio 2014). Savoia, che non ha mai nascosto l’ammirazione e l’amicizia per il Nano, non è ingenuo, e lo sa benissimo.

[14] Un’altra citazione, dopo quella gucciniana, proveniente dal cantautorato italiano: «La storia siamo noi» (Francesco de Gregori, Scacchi e tarocchi, 1985).

[15] Qui una noticina ci vuole, per osservare da un lato come Savoia abbia effettivamente difeso il referendum contro la revisione della legge sull’asilo (sostenuto dai Verdi ma non dal Partito socialista) e dall’altro una cosa che probabilmente sarà sfuggita ai più: nel dibattito televisivo (RSI, 60 minuti) aveva sottolineato che se la legge fosse passata il governo federale avrebbe avuto il diritto di imporre al Ticino, in edifici di proprietà della Confederazione, la presenza di richiedenti l’asilo (un argomento furbo e “popolare”, in sintonia con la campagna attuale, che mi aveva fatto sobbalzare sulla sedia).

[16] In vista della seduta parlamentare del 17 febbraio scorso sullo «statuto speciale», Savoia ha annunciato che i Verdi avrebbero chiesto la votazione nominale «in modo che i ticinesi conoscano nome e cognome dei deputati che difendono gli interessi ticinesi e di quelli che fanno il gioco di Berna, di Bruxelles e di Économiesuisse. In questo modo potranno appuntarseli in vista delle prossime elezioni» (blog, 15 febbraio, in un articolo dal titolo «Partiti storici, arrendetevi, siete circondati»): non siamo alla comunicazione dei numeri di telefono in stile Mattino della domenica, ma il tono è quello. E anche il manicheismo.

Il titolo dell’articolo viene, non a caso, da un intervento di Beppe Grillo: «Il mio grido è: arrendetevi, siete circondati dal popolo italiano...» (20 febbraio 2013). Uno slogan utilizzato vent’anni prima dai giovani fascisti del Fronte della gioventù.

[17] Loris Zanatta, Il populismo, Carocci, Roma 2013, pp. 15-20.

Verdi, Verifiche, 2014

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